Controlli e liti

Affitti commerciali tassati anche se non percepiti

Solo per gli immobili ad uso abitativo è prevista una deroga alla regola generale della tassazione del reddito da locazione

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di Alessandro Borgoglio

Il reddito derivante dalla locazione di un immobile a uso non abitativo deve essere assoggettato a tassazione, anche se i relativi canoni non sono stati percepiti a causa della morosità del conduttore, e ciò fino a che intervenga una causa di risoluzione del contratto di locazione. Lo ha stabilito la Ctr del Lazio, con la sentenza 5496/6/19 (presidente Panzani, relatore Caputi).

In base all’articolo 26, comma 1, del Tuir, i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso. I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito, purché la mancata percezione sia comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti, come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità, è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare.

In sostanza, come ben si comprende dal testo normativo, soltanto per l'affitto di immobili a uso abitativo il legislatore ha previsto una deroga alla regola generale della tassazione del reddito da locazione, anche in assenza di percezione del canone: dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore, infatti, il locatore dell'immobile abitativo può smettere di dichiarare e tassare i canoni di affitto e può recuperare come credito d’imposta le tasse già versate sui canoni dichiarati in precedenza, ma non percepiti; mentre se l’immobile è a uso non abitativo, i canoni vanno dichiarati, anche se non sono stati percepiti, e le imposte assolte non possono essere recuperate (circolare 150/E/99, paragrafo 1.1).

I giudici romani, con la sentenza odierna, hanno confermato il consolidato orientamento di legittimità per cui il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo è individuato in relazione al reddito locativo fin quando risulta in vita un contratto di locazione, con la conseguenza che anche i canoni non percepiti per morosità costituiscono reddito tassabile, fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto (Cassazione 651/2012, 26447/2017, 12332/2019; in senso contrario Ctp Firenze 387/1/17, Ctp Bergamo 516/2/2014).

Nella circolare 11/E/2014, però, l’agenzia delle Entrate aveva precisato, così come la Corte costituzionale con la sentenza 362/2000, che il locatore può utilizzare tutti gli strumenti previsti per provocare la risoluzione del contratto di locazione ed evitare la tassazione di canoni non riscossi, come la clausola risolutiva espressa ex articolo 1456 del Codice civile e la risoluzione a seguito di diffida ad adempiere ex articolo 1454 del Codice civile: in queste ipotesi, infatti, il riferimento al canone potrà operare fino a quando risulterà in vita un contratto di locazione; cessando ex lege il contratto, a fini abitativi o non abitativi, viene meno il presupposto per la tassazione del canone locativo al posto della rendita catastale.

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