Imposte

Spese detraibili pagate con l’App: non basta la ricevuta ma serve anche l’estratto conto

La risposta a interpello 230 apre allo sconto fiscale sul costo sostenuto tramite sistemi elettronici ma fissa i paletti per la documentazione

Dal 2020 si detraggono – con poche eccezioni tra cui farmaci, dispositivi medici e ticket sanitari - solo le spese fatte con pagamenti che «garantiscano la tracciabilità e l’identificazione del suo autore al fine di permettere efficaci controlli»: pertanto per poter detrarre le spese del 2020 fatte con sistemi di pagamento elettronici il contribuente dovrà esibire al Caf o al professionista non solo fattura o scontrino e le ricevute dei pagamenti fatti tramite app, ma anche l’estratto conto bancario.

Questa la risposta 230 a un interpello riguardante una piattaforma di moneta elettronica resa il 29 luglio dalle Entrate. Dopo aver “bocciato” i sistemi di pagamento con moneta complementare (si veda l’articolo su Ntplus Fisco del 12 giugno 2020) l’Agenzia pare determinata a restringere drasticamente il campo applicativo delle detrazioni attraverso l’imposizione di oneri documentali assolutamente non previsti dalle norme vigenti: chi paga con sistemi di moneta elettronica (come ad esempio le numerose app con prefisso o suffisso «pay» ed i «wallet» elettronici presenti sui cellulari) avrà l’onere di esibire non solo la ricevuta di pagamento, ma anche l’addebito sul proprio conto bancario.

L’Agenzia prende atto che l’istituto di moneta elettronica traccia i pagamenti come qualsiasi sistema di e-payment, ma assegna rilievo essenziale al fatto che l’app sia collegata ad un conto bancario e solo se dalle rilevazioni contabili della banca o dalle transazioni della app stessa sia possibile garantire la tracciabilità e l’identificazione dell’autore del pagamento al fine di permettere efficaci controlli da parte dell’amministrazione finanziaria. La spesa va provata con il documento di spesa (fattura o scontrino), l’estratto conto della banca e, nel caso da tale documento non si evincano tutte le informazioni necessarie, anche la copia delle ricevute dei pagamenti presenti nell’app.

In primo luogo, secondo la motivazione della risposta a interpello per identificare i mezzi di pagamento ammissibili, viene richiamata una risoluzione (108/E del 2014) che fa riferimento a quelli che «garantiscano la tracciabilità e l’identificazione del suo autore al fine di permettere efficaci controlli da parte dell’amministrazione finanziaria».

Tuttavia quella risoluzione riguarda le erogazioni liberali ai partiti politici, per le quali è la normativa primaria (Dlgs 149/2013) che espressamente parla di «tracciabilità dell’operazione ed esatta identificazione del suo autore». La legge di Bilancio 2020 rinvia invece all’articolo 23 del Dlgs 241/1997 (che era intitolato «Norme di semplificazione») il quale elenca «carte di debito, di credito e prepagate, assegni bancari e circolari» e «altri sistemi di pagamento».

Che la normativa del 2013 richieda qualcosa in più rispetto al Dlgs 241/97 è indiscutibile: quando furono disciplinate le liberalità ai partiti il decreto del 97 esisteva già da 15 anni, per cui sarebbe stato sufficiente richiamarne l’articolo 23 (come ha fatto la legge di Bilancio 2020). Il fatto che nel 2013 si sia sentita l’esigenza di dettare regole nuove sulle liberalità politiche per prescrivere “qualcosa in più” (identificazione del pagatore e agevolazione dei controlli) dimostra che secondo il legislatore le norme allora esistenti non lo prevedevano (altrimenti che bisogno ci sarebbe stato di usare una formula diversa e innovativa anziché richiamare la norma vigente?). La legge di Bilancio 2020 poteva scegliere tra due modelli a cui rinviare ed ha chiaramente scelto di richiamare la normativa generale del 1997: se avesse voluto applicare la successiva normativa sul finanziamento dei partiti l’avrebbe citata espressamente.

Ma l’aspetto che più preoccupa è che il conto corrente bancario sembra quasi una coperta di Linus perché non è completamente chiaro il quadro normativo dei sistemi di pagamento. Il sistema finanziario europeo è radicalmente cambiato, soprattutto dopo la direttiva Psd2 (applicata in Italia dal 14 settembre 2019) che ha introdotto il open banking e imposto sistemi di autenticazione innovativi e più sicuri per tutti i pagamenti: gli Istituti di moneta elettronica (Imel) sono intermediari vigilati dalle autorità creditizie (si veda https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/intermediari/index.html#5) e soggetti agli obblighi antiriciclaggio. Non vi è alcuna valida ragione per considerarli mezzi di pagamento «meno tracciati» delle banche: chi paga tramite app o borsellino elettronico paga indiscutibilmente in modo tracciato e la ricevuta del servizio di pagamento è una prova più che sufficiente, a cui l’estratto conto bancario non aggiunge proprio nulla.

Il rischio è di imporre ai contribuenti oneri documentali gravosi e inutili: anche la carta di credito è generalmente collegata ad un conto bancario su cui viene addebitato il saldo, per cui si dovrebbe richiedere anche l’estratto conto bancario. Sino ad oggi si è sempre considerato sufficiente, per i pagamenti con bancomat/carta, allegare alla fattura la ricevuta del pagamento Pos. Per i vari bonus ristrutturazioni bastava la contabile del bonifico: dal 2020 si dovrà consegnare a chi redige la dichiarazione anche una copia del proprio estratto conto per dimostrare che il pagamento è stato addebitato?

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