Imposte

Tra Apple e l’Irlanda accordo sulle tasse

di Gianluca Di Donfrancesco

Aspettando la web tax europea, comincia a incrinarsi la diga opposta da Apple e Irlanda alle pretese della Commissione Ue: il colosso hi-tech ha accettato di versare a Dublino quei 13 miliardi di euro di tasse non pagate che secondo Bruxelles rappresentano aiuti di Stato illeciti e quindi da recuperare. Con tanto di interessi, che secondo alcune stime, farebbero lievitare la somma verso i 20 miliardi. Dublino, per parte sua, ha accettato con estrema riluttanza di fare da “esattore”. L’adeguamento avverrà ovviamente a rate, a partire dal primo trimestre del 2018, con più di un anno di ritardo rispetto alla scadenza fissata dall’Esecutivo comunitario al 1° gennaio 2017.

L’annuncio è stato dato ieri dal ministro delle Finanze irlandese, Paschal Donohoe, dopo un incontro a Bruxelles con Margrethe Vestager, il commissario Ue per la Concorrenza che ad agosto del 2016 aveva bocciato le intese (tax ruling) tra Apple e Dublino, ritenendo illeciti gli incentivi fiscali riconosciuti alla multinazionale tra il 2003 e il 2014. Una decisione epocale, e non solo per le cifre in ballo (13 miliardi sono quasi il 5% del Pil irlandese). Dublino era subito insorta contro quella che considera un’ingerenza nei propri affari interni. Secondo la Commissione, Apple avrebbe versato un’imposta media di appena l’1% nel 2003, per scendere allo 0,005% nel 2014, anziché la normale aliquota del 12,5% in vigore in Irlanda.

L’intesa annunciata ieri non è una resa totale. L’anno scorso Apple e Dublino hanno impugnato davanti alla Corte Ue la decisione della Commissione e non sono rassegnate a deporre le armi. L’Irlanda, ha detto ieri Donohoe, continua a contestare la mossa di Bruxelles, «ma rispetterà l’obbligo di raccogliere il denaro richiesto», che però resterà vincolato finché i giudici Ue non si saranno pronunciati. Secondo quanto riferito da Donohoe, sarà infatti creato «un fondo di garanzia», nel quale finiranno i versamenti di Apple.

Di fronte alla melina messa in atto da Apple e Dublino (in base alle regole, il Governo irlandese aveva quattro mesi per adempiere), all’inizio dello scorso mese anche la Commissione si è rivolta alla Corte Ue. Un portavoce dell’Antitrust Ue ha spiegato che «oltre un anno dopo la decisione della Commissione, l’Irlanda non ha ancora recuperato gli aiuti illegali, nemmeno in parte. È per questo che si decise di segnalare l’Irlanda alla Corte Ue...speriamo che si possa lavorare in modo costruttivo con le autorità irlandesi per garantire che il recupero sia completato il prima possibile. Questo ci permetterebbe di chiudere la procedura», aperta dalla Commissione. I ricorsi di Dublino e Apple viaggiano su un binario diverso.

La vicenda ha aperto una frattura politica con Dublino, che dell’attrazione delle multinazionali attraverso un fisco a dir poco “di vantaggio” ha fatto la chiave del proprio successo economico. Ma anche Washington è sul piede di guerra e accusa Bruxelles di penalizzare le società Usa.

Apple ha reso noto di avere costituito «un team per lavorare in modo diligente e veloce con l’Irlanda sul processo richiesto dalla Commissione Ue. Restiamo però fiduciosi che la Corte Ue ribalterà la decisione della Commissione». Il gruppo di Cupertino continua a investire in Europa e nel suo quartier generale irlandese registra oltre 16 miliardi di euro di utili l’anno, senza però avere nel Vecchio Continente rilevanti basi di progettazione e produzione, che restano in Asia e Stati Uniti.

L’accordo tra Irlanda e Apple non è il solo finito nel mirino della Commissione Ue, che si è mossa anche contro Lussemburgo (Fca), Olanda (Starbucks) e Belgio (per una trentina di società). Ci sono poi casi Engie (ex GDF Suez) e McDonald’s (sempre in Lussemburgo, per 500 milioni di dollari). E a ottobre, l’accusa di beneficiare di illecite agevolazioni fiscali ha investito Amazon, ancora in Lussemburgo, alla quale è stato chiesto di rimborsare 250 milioni di euro, più interessi.

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