Controlli e liti

Consulente e amministratore di Srl: stop alla riqualificazione del reddito

La Cgt Umbria 79/1/2023 blocca la rettifica sulla natura degli emolumenti per l’incarico nella società. L’ufficio non ha dimostrato la connessione tra l’attività professionale e il ruolo

Nel caso in cui un professionista sia anche l’amministratore di una società, il reddito percepito come amministratore può essere riqualificato dall’ufficio in reddito di lavoro autonomo solo laddove sussista una evidente connessione tra l’attività autonoma esercitata dal contribuente e il ruolo di amministratore. Questo è il principio di diritto reso dalla Cgt dell’Umbria con la sentenza n. 79/1/2023 (presidente Oddi, relatore Temperini) che, riformando la pronuncia di primo grado, ha bloccato la riqualificazione del reddito in quanto non è stata dimostrata alcuna connessione tra l’attività professionale esercitata e quella perseguita dalla società.

Il contribuente è un lavoratore autonomo, esercente l’attività di consulenza amministrativa; al contempo, il libero professionista è anche amministratore unico di una società operativa nel settore della consulenza marketing e formazione.

L’agenzia delle Entrate, ritenendo sussistente una evidente connessione tra le due attività, ha notificato al contribuente un avviso di accertamento con cui ha riqualificato come reddito di lavoro autonomo gli emolumenti percepiti dal medesimo soggetto quale amministratore unico della società.

A fronte dell’impugnazione tempestiva della pretesa impositiva, il giudice di primo grado respingeva il ricorso. La Cgt di secondo grado, invece, ha rilevato che la qualificazione fiscale e il relativo trattamento contributivo degli emolumenti percepiti da un professionista per l’incarico di membro del consiglio di amministrazione o amministratore di una società, non può automaticamente considerarsi come reddito di natura professionale; tale riqualificazione è possibile solo laddove venga in concreto accertato dall’ufficio una stretta connessione tra le due attività.

In altri termini, per l’attrazione dei compensi societari alla categoria dei redditi di lavoro autonomo è necessario che gli incarichi svolti dal contribuente all’interno della società siano strettamente e oggettivamente connessi alle mansioni tipiche della propria professione abituale.

Nel caso di specie, l’agenzia delle Entrate non ha dimostrato nulla in ordine alla connessione tra l’attività professionale e le mansioni svolte all’interno della società, con conseguente difetto di prova della riqualificazione.

Del resto, non si può non ricordare che con l’introduzione dell’articolo 7, comma 5 bis, del Dlgs n. 546/1992, compete all’amministrazione finanziaria l’onere di provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato, dimostrando in modo circostanziato le ragioni oggettive su cui si fonda la pretesa erariale.

La pronuncia si pone in continuità tanto con la giurisprudenza di legittimità (tra le tante, Cassazione n. 5975/2013) quanto con la prassi dell’amministrazione finanziaria (si veda la risposta a interpello n. 202/2019).

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