Controlli e liti

Facebook apre alla tassazione locale

di Alessandro Galimberti

Tanto tuonò che comincio almeno a piovigginare. Dopo mesi di pressing internazionale - tra dossier di Bruxelles, scatti in avanti del G4 (Italia, Francia, Germania e Spagna) e proposte di web tax via Ocse, ma solo dal 2020 - ieri Facebook ha annunciato una svolta significativa nel suo rapporto con le fiscalità nazionali. A partire dal 2018, e a regime dal 2019, il popolare social network californiano (e irlandese di tasse) varerà una serie di «strutture di vendita locali» che operereanno, di fatto, come soggetti fiscali nei paesi dove l’azienda di Mr. Zuckerberg svolge attività economica. (I NUMERI)

Dal punto di vista tecnico e dei principi è una novità importante. Facebook Italia, tanto per restare in casa nostra - ma il modello si riproporrà in altri 25 paesi “rilevanti” - diventerà un vero e proprio soggetto giuridico su cui verrà imputata la catena del valore, cioè i ricavi prodotti qui. In sostanza l’economia digitale e senza frontiere, per 20 anni grande slogan della modernizzazione a senso unico, torna a “territorializzarsi”, legandosi alle fiscalità nazionali secondo un modello molto simile alla «stabile organizzazione» della vecchia economia industriale.Non è detto però che la svolta “di principio” porterà alla crescita per multipli del gettito fiscale. È la stessa società di Menlo Park a raffreddare sul nascere gli entusiasmi delle ragionerie di stato, portando l’esempio della Gran Bretagna dove il modello di strutture di vendita locali è attivo dal 2016. Oltremanica il conto erariale ha raggiunto i 3,34 milioni di dollari, a fronte dei crediti fiscali maturati negli anni precedenti.

Il dato più significativo, però, è che la marginalità nel Regno Unito - l’ammontare dei guadagni su cui si applica poi l’imposta - è solo del 7% , a fronte del 45% medio del gruppo multinazionale. Un ribasso di 38 punti di redditività si può spiegare solo con il tradizionalissimo metodo delle transazioni infragruppo, meglio conosciuto con il brocardo anglofono di transfer pricing (lo spostamento di costi di produzione nei paesi a più alto carico fiscale per abbattere gli utili e ridurre in tal modo l’impatto dell’aliquota). «Riteniamo che il passaggio a una struttura di vendita locale fornirà maggiore trasparenza ai Governi e ai policy maker di tutto il mondo che hanno chiesto una maggiore visibilità sui ricavi associati alle vendite che vengono supportate localmente nei rispettivi paesi» ha detto Dave Wehner, Chief Financial Officer (direttore finanziario) di Facebook. Dichiarazione a cui fa eco, da Roma, la prima valutazione a caldo del Mef, che definisce «molto positiva la decisione annunciata da Facebook di passare ad una “struttura di vendita locale” con la conseguenza che i ricavi da servizi pubblicitari saranno tassati nel Paese in cui vengono venduti». «Si tratta di un cambiamento importante - aggiungono dal Mef - che va nella direzione giusta: assicurare che i redditi siano dichiarati e tassati dove vengono prodotti. Siamo convinti che la decisione sia stata influenzata dagli sforzi compiuti in sede internazionale per porre fine ai fenomeni di elusione fiscale. L’Italia ha avuto e sta avendo un ruolo propulsivo sia in sede europea, che in sede Ocse-G20, ed ha posto il tema della tassazione dell’economia digitale in cima all’agenda delle riunioni del G7 di Bari. L’annuncio odierno è dimostrazione che le riforme strutturali, quali il progetto Beps, necessitano di un tempo adeguato per essere valutate e produrre effetti».

L’elusione fiscale degli over the top americani è finita, tra gli altri, in un recente dossier compilato dal team di riforma della corporate tax in ambito europeo comunitario. Lo studio ha calcolato l’imponibile (54 miliardi) e le imposte perse dalla Comunità nel triennio 2013-15, e solo per mano di Google e Facebook (i due colossi Usa basati fiscalmente nel paradiso comunitario Irlanda): secondo il responsabile politico del team, il socialista Paul Tang, in tre anni sono drenati ricavi appunto per 54 miliardi di euro.Facebook, sempre secondo il dossier, fuori dall’Unione europea soggiace a un’aliquota compresa tra il 28 e il 34% sui ricavi, mentre in Europa, e sempre grazie al double-Irish (schema che scadrà solo nel 2020), oscilla tra lo 0,03% e lo 0,10 per cento. Con questa “frazione”, sommata alla presunta elusione Google, l’erario Ue perde una media di 1,8 miliardi all’anno di imposta (5,4 miliardi in tre anni), dice il rapporto Tang. E non è detto che la mini-riforma di Facebook sposterà di moltissimo l’ago della bilancia fiscale Ue.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©