Controlli e liti

Concordato preventivo, premialità necessaria

L’istituto rischia di determinare un’asimmetria del rischio fiscale, addossato interamente sul contribuente, a fronte della certezza del gettito su più esercizi per l’amministrazione

di Dario Deotto

Il disegno di legge delega di riforma fiscale intende riproporre – nel più ampio progetto di una definizione ex ante del rapporto tributario – il concordato preventivo biennale.

I precedenti

Si rammenta che nel tempo ci sono stati vari tentativi di introduzione nell’ordinamento tributario del concordato preventivo. Considerando gli ultimi vent’anni circa, si segnala il Ddl delega C-2144, approvato il 20 dicembre 2001, che prevedeva, nel più ampio ambito della riforma del sistema tributario di allora, l’«introduzione del concordato triennale preventivo per l’imposizione sul reddito d’impresa e di lavoro autonomo».

Nella pendenza della discussione del Ddl venne tuttavia introdotto - con l’articolo 6 della legge 289/2002 - il concordato preventivo triennale «per i titolari di reddito d’impresa e di lavoro soggetti … con ricavi o compensi fino a cinque milioni di euro». L’articolo 6 della legge 289/2002 non ha avuto però attuazione perché si è giunti alla legge delega (legge 80/2003) che prevedeva all’articolo 3 «l’istituzione del concordato preventivo triennale … anche in funzione del potenziamento degli studi di settore».

Il concordato sperimentale del 2003

Con l’articolo 33 del Dl 269/2003, «in attesa dell’avvio a regime del concordato preventivo triennale», è stato introdotto in forma sperimentale un concordato preventivo biennale per il periodo d’imposta 2003 e quello successivo. È l’unico istituto ad avere avuto, di fatto, concreta attuazione (risultano circa 250 mila adesioni, comunque poche). Veniva prevista la determinazione agevolata delle imposte sul reddito, la sospensione degli obblighi di emissione dello scontrino e della ricevuta fiscale nonché la limitazione dei poteri di accertamento. Occorreva incrementare i ricavi e il reddito rispetto a quello dichiarato nel 2001 (l’eccedenza veniva tassata separatamente con aliquota agevolata).

Dopodiché è stata introdotta (articolo 1, commi 387-398, della legge 311/2004) la pianificazione fiscale concordata, che però è stata abrogata dalla legge 266/2005, che aveva a sua volta previsto la programmazione fiscale, la quale, tuttavia, è stata abrogata dal Dl 223/2006.

In sostanza, fino ad ora i vari tentativi di introdurre l’istituto del concordato preventivo non hanno avuto grande successo.

Contraddittorio semplificato

Il Ddl di riforma stabilisce che quello previsto (non vengono delineate le soglie d’accesso, comunque limitate ai soggetti che svolgono un’attività d’impresa e di lavoro autonomo) ruoterà attorno a un contraddittorio con modalità semplificate (almeno così dice il Ddl) in base al quale il contribuente si impegna a rispettare la proposta fatta dalle Entrate per la definizione biennale della base imponibile (ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap). La proposta si baserà sui dati in possesso dell’Agenzia, anche utilizzando le banche dati e le nuove tecnologie a sua disposizione. Viene stabilito che i maggiori o minori imponibili rispetto a quelli oggetto del concordato risulteranno irrilevanti ai fini delle imposte sui redditi, dell’Irap nonché dei contributi previdenziali obbligatori (mentre l’Iva verrà applicata secondo le regole ordinarie). Rimarranno fermi tutti gli obblighi contabili e dichiarativi.

Mancano franchigie ed esoneri

Si osserva che non vengono previste «franchigie» da futuri accertamenti e non vengono disposti esoneri da adempimenti. E sono proprio questi gli aspetti di maggiore criticità dell’istituto. Perché mai il contribuente dovrebbe assumersi interamente il rischio fiscale di risultare assoggettato a tassazione sui valori concordati anche a fronte di un risultato inferiore, senza avere un anche minimo vantaggio in termini di semplificazione degli adempimenti o di copertura – anche limitata – da futuri accertamenti? Si nota, infatti, l’assoluta asimmetria del rischio fiscale, addossato interamente sul contribuente, a fronte della certezza – per l’amministrazione – del gettito su più esercizi.

Senza contare che suscita più di qualche interrogativo, in punta di diritto, il fatto che si addivenga all’anticipazione dell’accordo rispetto al verificarsi del presupposto impositivo.

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