Adempimenti

Cripto-asset: dai modelli Ocse alle norme Ue, Italia nella scia internazionale

In vista l’aggiornamento del Crs e la proposta di regolamento europeo sul mercato dei cripto-asset (con cui si tenta di dare un primo framework normativo ai cripto-investimenti)

I nuovi obblighi per i cripto-operatori imporranno costi di compliance, per predisporre i report periodici, e andranno contemperati con i rischi in materia di privacy connessi alle modalità di comunicazione di tali report, che contengono dati personali dei singoli utenti. Non c’è però uno specifico regime sanzionatorio per omessa/errata comunicazione dei dati, salvo il rinvio a quello previsto dall’articolo 17-bis, comma 5, del Dlgs 141/10 per i cambiavalute (sanzione fissa tra 2.065 e 10.329 euro per l’esercizio abusivo), né ci sono specifiche indicazioni per gli operatori che scambiano cripto-asset non strettamente utilizzabili come mezzi di pagamento (ad esempio, i token).

Ma guardando in positivo, i nuovi obblighi rappresentano forse la prima tangibile spinta verso un processo di “chiarificazione” del mondo cripto a livello nazionale, al di là dell’inquadramento normativo già attuato per i fini antiriciclaggio. La creazione di un’anagrafe dei cripto-operatori, unita alla consapevolezza che le transazioni saranno comunicate e tracciate, dovrebbe rafforzare la credibilità “pubblica” di questo nuovo settore.

Le prospettive internazionali

Il monitoraggio su scala nazionale, che entro il 18 maggio riguarderà operatori e clienti che investono in criptovalute, va nella stessa direzione del percorso di regolamentazione e trasparenza ormai intrapreso anche sul piano internazionale. A livello europeo, infatti, qualche mese fa si è tenuta una consultazione pubblica per includere nella cooperazione amministrativa tra gli Stati Ue anche le informazioni relative a cripto-investimenti (direttiva Dac 8). Nella stessa scia, a livello mondiale, l’Ocse, su impulso dei Paesi aderenti al G20, ha avviato un processo di aggiornamento del proprio standard di scambio automatico di informazioni, il Common reporting standard (Crs), per includervi anche le movimentazioni aventi ad oggetto i “crypto assets”. Il Crs, mediante il meccanismo di scambio di informazioni tra le amministrazioni finanziarie degli Stati partecipanti, consente infatti all’amministrazione finanziaria del Paese di residenza dell’investitore di venire a conoscenza delle sue attività detenute in altri Paesi. Nel dettaglio, il Crypto-asset reporting framework and amendments to the Common reporting standard, rilasciato dall’Ocse lo scorso 22 marzo e oggetto di consultazione pubblica sino al prossimo 29 aprile, mira a definire un nuovo framework globale di trasparenza fiscale per i “crypto asset s” e aggiornare l’attuale modello Crs per tenere conto delle evoluzioni di mercato sui prodotti monetari elettronici.

Gli intermediari interessati (reporting crypto-asset service provider, definiti come le persone fisiche o giuridiche che, per business, forniscono servizi riguardanti transazioni di scambio per o per conto della clientela, o mettono a disposizione una piattaforme di trading), saranno dunque chiamati a svolgere attività di verifica nei confronti della clientela, per segnalare i soggetti coinvolti in transazioni aventi ad oggetto crypto assets (definizione che, secondo l’Ocse, include i token sia fungibili che non fungibili, compresi dunque gli Nft relativi a oggetti da collezione, giochi e opere d’arte, cedibili/trasferibili in forma digitale).

Un nuovo framework normativo

Da un lato, c’è dunque la comprensibile esigenza di regolamentare un settore particolarmente nuovo; dall’altro, la difficoltà di applicare gli ordinari canoni giuridici a questo stesso settore, che fa della deregolamentazione, decentralizzazione e aterritoralità il suo carattere distintivo. La sfida, forse, potrebbe risolversi partendo proprio dall’inversione del paradigma che la nuova cripto-economia vuole proporre: non un complesso dedalo di norme, ma la fiducia nella tecnologia dei registri distribuiti, quale regola per garantire la stabilità e la regolarità del mercato.

Una prima occasione in tal senso potrebbe arrivare dall’attività regolamentare che ormai ferve a livello europeo – tra tutti, la proposta di regolamento “Mica” (Markets in crypto assets), nei giorni scorsi approvata dall’Economic and monetary affairs committee. Il progetto persegue l’ambizioso obiettivo di fornire un primo framework normativo per una regolamentazione più organica di questo nuovo settore, ma dovrà gestire il rischio – concreto, almeno leggendo la bozza di regolamento – di non cadere in un approccio anacronistico, che aumenti anziché ridurre il gap competitivo con le altre economie mondiali più veloci a salire sul treno, ormai lanciato, del mercato dei cripto-asset.

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