Imposte

Sui fondi extra-Ue tassazione ancora discriminatoria

La Cassazione con una serie di sentenze gemelle segue l’orientamento della Cgue. Il principio europeo vale anche quando esiste una convenzione tra Stati

di Fabio Brunelli e Raffaele Villa

Con una serie di sentenze gemelle (le numero 21454, 21475, 21479, 21480, 21481 e 21482, pubblicate lo scorso 6 luglio) la Corte di cassazione ha confermato l'applicazione del principio di non discriminazione anche ai fondi di investimento residenti in Paesi non-Ue, sulla base dell'articolo 63 del Tfue sulla libertà di circolazione dei capitali, dando importanti indicazioni che potranno avere riflessi sull'attuale quadro normativo e sugli orientamenti dei giudici tributari.

La fattispecie esaminata aveva ad oggetto le (maggiori) ritenute su dividendi di fonte italiana subite da fondi di investimento Usa (15 per cento, in applicazione della Convenzione) rispetto all'aliquota di tassazione a cui erano soggetti i fondi italiani (12,5 per cento sul “maturato”) sulla base della disciplina vigente fino al 2010.

La Cassazione, peraltro in linea con diverse precedenti pronunce della Corte di giustizia Ue (Cgue), ha sancito il principio di diritto secondo cui, per evitare la violazione dell'articolo 63 del Tfue in tema di libera circolazione dei capitali tra Stati membri e Paesi terzi, ai suddetti fondi Usa deve essere applicata la medesima aliquota prevista (ratione temporis) sul risultato di gestione dei fondi residenti.

Inoltre, viene chiarito che il principio comunitario si rende applicabile anche in presenza della disposizione convenzionale, atteso che quest'ultima si innesta sulla norma di diritto domestico (mitigandola). In altri termini l'interpretazione adeguatrice da parte del giudice nazionale, che deve essere comunitariamente orientata, ha in effetti ad oggetto la norma di legge nazionale laddove essa si trovi in contrasto con i principi espressi dalla Cgue.

Invero la disposizione convenzionale sui dividendi non attribuisce potestà impositiva allo Stato italiano, ma al contrario la limita. Cosicché l'interpretazione adeguatrice deve avere ad oggetto non tanto la disposizione pattizia (l'articolo 10 della Convenzione) quanto piuttosto la norma nazionale (l'articolo 27 del Dpr 600/1973) che, nel prevedere una imposizione superiore rispetto a quella applicabile ai fondi italiani, si pone in contrasto con l'articolo 63 del Tfue.

La Cassazione ricorda inoltre che nell'ambito dell'articolo 63 del Tfue sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e Paesi terzi, e che una differenza di trattamento fiscale tra fondi di investimento residenti e fondi non residenti è idonea a dissuadere i fondi stabiliti in un Paese terzo dall'assunzione di partecipazioni in società stabilite in uno Stato membro.

Accanto a questi chiari principi, peraltro, la motivazione della sentenza contiene una premessa che proietta l'analisi giuridica svolta anche sull'attuale disciplina di esenzione dei fondi Ue/See in vigore dal gennaio 2021. La Cassazione infatti osserva come i dubbi sulla compatibilità con il diritto europeo del regime fiscale applicato in Italia ai fondi Ue/See sono stati portati all'attenzione della Commissione Ue, che ha avviato una attività investigativa (Eu Pilot 8105/15/Taxu) sfociata poi nelle modifiche apportate dalla legge di Bilancio 2021. Quest’ultima ha reso esenti dividendi e plusvalenze di fonte italiana percepiti da Oicr Ue/See con scambio di informazioni.

Dunque i massimi giudici nell'elaborare l'analisi che li ha portati a ritenere discriminatoria la normativa pro-tempore vigente (oggetto di causa) che assoggettava a maggiore tassazione i fondi Usa rispetto ai fondi residenti, premettono al ragionamento un esteso richiamo alla circostanza che per i fondi Ue/See il legislatore italiano ha già posto rimedio normativo alla discriminazione, con l'estensione ai medesimi fondi del regime di esenzione attualmente previsto in via generalizzata per gli Oicr residenti in Italia.

L'impianto della motivazione quindi supporta l'analisi (e quindi la conclusione) sul divieto di discriminazione dei fondi non-Ue, richiamando (tra l'altro) il fatto che per i fondi Ue/See il legislatore è già intervenuto su sollecitazione della Commissione Ue a seguito di una investigazione riguardante specificamente questi ultimi. Ne consegue dunque che la sentenza mette così (seppur implicitamente) in evidenza come la disciplina introdotta dalla legge di Bilancio 2021, se per un verso è volta al rispetto del diritto comunitario, per altro verso è incompleta in quanto non copre il trattamento dei fondi residenti in Paesi terzi (a cui l'articolo 63 del Tfue è comunque applicabile), con il risultato che sul piano logico-giuridico anch'essa dovrebbe ritenersi discriminatoria.

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