Controlli e liti

Bonus revocati per violazioni formali e mancata indicazione in dichiarazione: le possibili difese

La linea delle Entrate si scontra con alcune prese di posizione dei giudici, a partire da ricerca e sviluppo

di Emanuele Mugnaini

La recente sentenza della Ctr Lombardia 2343/3/2021 (si veda l’articolo sul Sole 24 Ore di Lunedì 13 settembre) relativa alla spettanza del credito di imposta per ricerca e sviluppo in caso di mancata indicazione nella dichiarazione dei redditi, riporta all’attenzione una questione che vede spesso contrapposti fisco e contribuenti: la revoca di crediti di imposta e agevolazioni per violazioni di natura formale.

Non di rado, infatti, l’agenzia delle Entrate considera inesistenti crediti d’imposta e bonus per il solo fatto che non sono stati indicati nella dichiarazione dei redditi o, più in generale, perché non è stato eseguito correttamente un qualsivoglia adempimento che nulla ha a che vedere con la spettanza dell’agevolazione.

Tale orientamento, nonostante l’inevitabile mole di contenzioso che ne deriva, è stato più volte ribadito dall’Amministrazione, ultima in ordine di tempo la “non felice” Risoluzione 82/E del 2019 nella quale, in materia di credito iva con dichiarazione omessa, si continua ad insistere sulla sanzionabilità dell’eventuale utilizzo del credito in compensazione, nonostante l’esistenza sostanziale dello stesso. Quanto precede con l’ulteriore incongruenza che vede riconosciuta, nello stesso documento, la possibilità di chiederne il rimborso. Come se un credito di imposta potesse esistere o non esistere a seconda della modalità utilizzo.

L’erroneità di tale orientamento risiede nella natura stessa della dichiarazione che è, salvo taluni specifici casi, solo e unicamente il mezzo con il quale il contribuente comunica – dichiara, appunto – all’Amministrazione finanziaria la propria posizione reddituale ai fini della riscossione del tributo (dichiarazione di scienza), non essendo, per contro, fonte dell’obbligo tributario (Cassazione 4578/2015). Ecco, allora, che solo una specifica previsione di legge, può stabilire che la mancata o erronea indicazione nei dichiarativi di un credito d’imposta o di un’agevolazione ne comporti la decadenza.

Nel caso del credito per ricerca e sviluppo, oggetto della pronuncia dei giudici meneghini, l’indicazione del credito in dichiarazione non è mai stata condizione di revoca dello stesso, nemmeno nella versione originaria della norma. Il comma 282 dell’articolo 1 legge 296/2006, infatti, pur prevedendo espressamente l’obbligo di indicazione, non ne condizionava la spettanza al rispetto dell’adempimento. Non a caso il successivo comma 283 faceva riferimento, quanto al controllo, unicamente alla verifica circa l’effettività delle attività svolte.

La stessa amministrazione finanziaria, con la circolare 13/E del 2017 (paragrafo 4.9), commentando le modifiche introdotte all’agevolazione dalla legge di Bilancio 2017, ha riconosciuto che dall’adempimento dichiarativo non dipende né il momento in cui sorge il diritto al credito di imposta né quello a partire dal quale è possibile la sua fruizione. Questo a motivo dell’automaticità del riconoscimento del credito stesso, condizionata unicamente all’effettuazione delle spese agevolate, poiché né la norma istitutiva né il decreto attuativo di allora prevedevano l’indicazione in dichiarazione a pena di decadenza dal diritto all’agevolazione.

Molte sono, infatti, le fattispecie potenzialmente interessate. Si pensi, ad esempio, alle agevolazioni fiscali legate al Covid da inserire nel quadro degli aiuti di Stato, per talune anche nel quadro RU, laddove alcuna norma sanziona con la decadenza la mancata indicazione delle stesse nel dichiarativo. Anche per quanto riguarda la rivalutazione di terreni e partecipazioni l’efficacia è condizionata al versamento dell’imposta sostitutiva, pur essendone prevista l’indicazione in dichiarazione (quadri RM o RT, a seconda dei casi). Ecco, pertanto, che l’omessa o errata compilazione dei prospetti si configura quale violazione che attiene unicamente alla dichiarazione in sé. Violazione dotata di un autonomo profilo sanzionatorio, graduato in base alla gravità. Nel caso di specie, non essendovi sottrazione di materia imponibile, questa può essere annoverata tra quelle di natura formale (ostacolo all’attività di controllo) di cui all’articolo 8, comma 1, del Dlgs 471/97, per le quali è dovuta la sanzione in misura fissa da 250 a 2.000 euro.

Nell’ulteriore caso in cui l’amministrazione finanziaria fosse già in possesso delle informazioni richieste, non sussistendo, a parere di chi scrive, alcun impedimento all’attività di controllo, la violazione rientra nel novero di quelle meramente formali. Queste ultime, ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 10 comma 3, legge 212/2000 e dell’articolo 6, comma 5-bis Dlgs 472/97, non sono sanzionabili poiché prive di ogni offensività dei beni giuridici tutelati (Cassazione 16450/2021).

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