Imposte

L’abolizione dell’Ace rimette al centro l’indebitamento

di Angelo Cremonese

Le novità fiscali della manovra saranno valutabili compiutamente solo dopo la diffusione dei testi. A oggi le analisi possono riguardare imprese e professionisti, gli unici contribuenti su cui l’annunciata rivoluzione del nuovo “Governo del cambiamento” ha sinora posato lo sguardo.

L’attenzione per il mondo produttivo e per i soggetti di minori dimensioni va considerato un elemento positivo, anche se, al momento, permangono forti dubbi che si riuscirà realmente a ridurre la pressione fiscale sulle piccole e medie imprese. L’avvio della flat tax per le partite Iva e la mini-Ires, infatti, potrebbero non essere sufficienti per bilanciare in termini di prelievo i vantaggi fiscali aboliti con l’addio ad Ace e Iri. Due misure che erano state pensate proprio per sostenere la crescita mirando a una riduzione del carico fiscale per oltre 3 miliardi.

L’Ace aveva cercato di incidere sulla cronica sottocapitalizzazione delle società italiane, in parte frutto delle distorsioni di un sistema tributario che ha sempre privilegiato le imprese finanziate con capitale di debito. Il rischio è quello di tornare verso scenari in cui la fragile struttura finanziaria dei ceti produttivi aveva ritagliato per le banche un ruolo centrale nella crescita del sistema delle imprese. L’incentivazione degli utili reinvestiti, annunciata nelle anticipazioni sulla manovra, potrebbe attenuare questo fenomeno ma non essere sufficiente a stimolare quel lungo processo evolutivo della capitalizzazione delle nostre imprese che grazie all’Ace si era intrapreso.

Il quesito che riguarda l’addio all’Iri, invece, è cosa accadrà per tutti quei contribuenti non organizzati in forma societaria che puntavano su una modalità di tassazione al 24%, simile a quella prevista per le società. L’analisi degli effetti complessivi di queste disposizioni, al momento, induce quindi la previsione, nella sostanza, di un aggravio di imposta per i contribuenti appartenenti alla platea delle Pmi che non rientreranno nei parametri della flat tax. Se poi allarghiamo le considerazioni ai criteri di equità, dobbiamo sottolineare che una riforma sbilanciata su questo intervento rischia di generare un profondo divario nel nostro sistema fiscale tra una parte dei lavoratori autonomi tassati in maniera proporzionale e gli altri contribuenti colpiti dalle aliquote progressive.

Considerando poi che il regime forfettario della flat tax non prevede l’applicazione dell’Iva è chiaro che si determinerà una distorsione della concorrenza nei settori dove la clientela è costituita da consumatori finali o Pa, che avranno un consistente risparmio acquistando beni e servizi dai soggetti che rientrano nei nuovi parametri. Sul piano dei servizi l’esclusione delle associazioni professionali e delle società sembra voler penalizzare proprio le strutture più organizzate, disincentivando la costituzione di studi integrati e multidisciplinari.

Ridurre la pressione fiscale sui comparti produttivi più deboli è un ottimo proposito ma, per evitare effetti distorsivi, servono non iniziative scollegate ed estemporanee, ma un disegno complessivo,coerente e organico.

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