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Operazione fatturata in esenzione per errore, l’Iva incorporata nel prezzo non si detrae

Secondo la Corte Ue questo principio vale, a maggior ragione, se non è stata intrapresa nei termini di legge alcuna azione per recuperare l’imposta

di Anna Abagnale e Benedetto Santacroce

L’Iva incorporata nel prezzo non può essere detratta. Ad affermare il principio è una recente e interessante pronuncia della Corte di Giustizia (sentenza del 13 gennaio 2022, causa C-156/2020).
Più nel dettaglio, i giudici dell’Unione arrivano a dire che l’Iva non può essere considerata dovuta o assolta e, di conseguenza, non è detraibile per il cliente nel caso in cui quest’ultimo e il suo prestatore abbiano erroneamente ritenuto che le prestazioni rese/ricevute fossero esenti da Iva. Ciò a maggior ragione se non sia stata intrapresa, nei termini di legge, alcuna azione diretta al recupero dell’Iva, cosicché qualsiasi pretesa sia del prestatore sia dell’amministrazione è prescritta.
Il caso è piuttosto ricorrente e comprende tutti quegli errori dei contribuenti i quali, ritenendo che l’operazione effettuata benefici di un regime di esenzione (ma lo stesso vale nelle ipotesi di “non imponibilità”, “fuori campo” o di “operazioni non soggette” ad imposta) non espongono l’Iv in fattura considerandola non dovuta. È quanto accaduto alle parti nella causa istruita dinanzi alla Corte europea.

Il caso

Nello specifico, un operatore UK incaricato del servizio pubblico postale forniva delle prestazioni di servizi negoziati individualmente con una società cliente, applicando il regime di esenzione Iva previsto all’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della Direttiva 2006/112/CE.

Considerando che le somme versate come corrispettivo di tale servizio dovessero ritenersi comprensive dell’Iva, la società acquirente chiedeva di esercitare il diritto alla detrazione all’Autorità fiscale UK che glielo negava. Tra i motivi del diniego figurava l’inerzia sia del prestatore sia della stessa Amministrazione a procedere al recupero dell’imposta dovuta cosicché, nel frattempo, ogni azione utile al riguardo si era prescritta. La questione arrivava dinanzi alla Suprema Corte nazionale, la quale ha ritenuto opportuno il coinvolgimento dell’Europa.

La pronuncia della Corte Ue

Innanzitutto, la Corte di Giustizia ha escluso l’applicabilità al caso descritto di un principio espresso in un suo precedente del 2013 (sentenza cause riunite C-249/12 e C-250/12). Allora la Corte aveva affermato, riguardo ad una cessione di beni, che, qualora il prezzo dei beni sia stabilito senza fare alcuna menzione all’Iva (e il fornitore sia il debitore d’imposta), il prezzo convenuto va considerato comprensivo dell’imposta se il fornitore non ha la possibilità di recuperare presso l’acquirente l’Iva riscossa successivamente dal Fisco. Diversamente sarebbe compromesso il principio di neutralità (si veda, in tal senso, la Norma di comportamento dell’Aidc n. 195 in tema di rivalsa da accertamento). Ebbene, secondo la Corte, non è questo il caso portato alla sua attenzione dove il contratto stipulato dal committente con l’operatore postale prevede esplicitamente che il corrispettivo sia al netto dell’Iva. Inoltre, quest’ultimo non era nell’impossibilità di recuperare presso il cliente l’importo dell’imposta omessa nel momento in cui si è accorto dell’errore. Dunque, considerato che il prestatore non si è attivato in tal senso, né l’Amministrazione finanziaria ha provveduto al recupero dell’imposta, la stessa non può che ritenersi a carico del committente, che non può detrarre un importo Iva che non gli sia stato fatturato e che, di conseguenza, non ha trasferito sul consumatore finale.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.

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