Imposte

Rinvio davanti la Consulta per la sostitutiva Bankitalia

La ricapitalizzazione di 7,5 miliardi del 2013 costò ai soci oltre 2 miliardi di imposte

di Alessandro Galimberti

Finisce al vaglio della Corte costituzionale l’imposta sostitutiva sull’ingente ricapitalizzazione di Banca d’Italia di nove anni fa. La Ctr di Trieste, con un’articolata motivazione, ha congelato il ricorso di Generali contro l’agenzia delle Entrate per il rimborso di oltre 75 milioni di euro dell’imposta creata nel 2013 per effetto della tortuosa “manovra” fiscale sui partecipanti al capitale di Bankitalia.

Secondo i giudici tributari giuliani (presidente Rovis, relatore Milillo) la tassa “inventata” nel decreto legge 133/2013 e riassestata in corsa con la Finanziaria per il 2014 (147/13) - che tra l’altro portò in dote due miliardi di euro sui 7,5 del valore cartolare dell’operazione - violerebbe la Costituzione sotto vari profili, dalla capacità contributiva all’eguaglianza tra contribuenti, fino alla libertà di iniziativa economica tout court.

La vicenda fu innescata a fine novembre 2013 quando il Dl «Disposizioni urgenti concernenti l’Imu, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia» aveva previsto, proprio riguardo all’istituto di via XX Settembre, un’ingente ricapitalizzazione, 77 anni dopo il conferimento dei primi 3oo milioni di vecchi(ssim)e lire, portandola a 7,5 miliardi di euro. Misura che toccava direttamente e soprattutto i partecipanti al capitale - banche e imprese di assicurazione e riassicurazione - per i profili di riclassificazione di bilancio e di “valorizzazione” a fini tributari.

Il primo passaggio (Dl 133) prevedeva che le quote rivalutate dovevano da quel momento essere iscritte tra le «attività finanziarie detenute per la negoziazione» (e non più tra le «immobilizzazioni finanziarie»), il secondo (legge di Stabilità per il 2014) previde un’imposta sostitutiva dell’Ires dell’Irap e di eventuali addizionali, inizialmente con aliquota del 12% presto aumentata al 26%. Operazioni obbligate, in forza delle quali Generali - difesa a giudizio da Nicola Mazza - si vide rivalutare la partecipazione al capitale fino a 475 milioni di euro, su cui venne pagata la sostitutiva (al netto del valore fiscalmente riconosciuto) per un ammontare di 75 milioni. Tale è il quantum del contenzioso innescato davanti alla Commissione tributaria triestina dopo il silenzio/rifiuto opposto dalle Entrate all’istanza di rimborso della tassa supposta iniqua.

Tra i diversi rilievi mossi dall’estensore del rinvio costituzionale, quello secondo cui un obbligo di riclassificazione solo fiscale delle partecipazioni della Banca d’Italia fra le attività finanziarie detenute per la negoziazione è in contrasto i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza (articolo 3 della Costituzione) perché comporta l’assoggettamento dei proventi «a un regime fiscale deteriore rispetto a quello dei proventi delle altre partecipazioni non detenute per la negoziazione, senza una giustificazione razionale». Ancora, «i partecipanti al capitale di Banca di Italia subiscono un trattamento svantaggioso e gravemente discriminatorio rispetto a quello riservato agli omologhi partecipanti al capitale sociale della generalità degli enti e società commerciali», e la «tassazione immediata, ad aliquota appena inferiore a quella piena» colpisce una ricchezza che, secondo le regole applicabili alla generalità dei contribuenti e necessarie al corretto funzionamento dei principi su cui poggia l’ordinamento tributario, sarebbe rilevata solo al (suo) realizzo effettivo e nella limitata misura del 5 per cento».

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