Controlli e liti

Consorzi, ai fini del «ribaltamento» rilevano lo statuto e le modalità di svolgimento del rapporto

Per la Cassazione è necessario procedere al coordinamento delle varie clausole da interpretare complessivamente le une a mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso risultante dall’intero negozio

di Stefano Mazzocchi

Secondo un consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, nell’ambito del consorzio il ribaltamento dei costi e ricavi tra i consorziati dev’essere effettuato qualora il consorzio stesso, pur avvalendosi di strutture proprie, abbia svolto servizi complementari, correlati alla finalità mutualistica (Cassazione 12 novembre 2020, n. 25518).

Ciò, hanno spiegato i giudici, avviene ad esempio nelle seguenti ipotesi:

spese di gestione generale, che vanno ripartite tra i singoli consorziati pro quota in relazione alla partecipazione di ciascuno di essi al consorzio e alle commesse eseguite dallo stesso consorziato o miste;
costi di servizi specifici forniti dal consorzio al consorziato in relazione a commesse assunte da quest’ultimo o miste;
costi e ricavi relativi a commesse svolte dal singolo consorziato, quale mandante, ed assunte tramite il consorzio, quale mandatario senza rappresentanza.

Il presupposto per il ribaltamento

Al riguardo, con l’ordinanza della Cassazione 15373/2022 del 17 marzo 2022, depositata lo scorso 13 maggio, la prima sezione civile della Suprema corte ha precisato definitivamente che un presupposto imprescindibile per stabilire se debba essere effettuato o meno il “ribaltamento” (integrale o parziale) dei costi e dei ricavi, è costituito da un rigoroso accertamento in merito alla natura delle operazioni o dei servizi, rispettivamente espletati dall’ente consortile e dalle consorziate, e al rapporto sottostante all’assegnazione dei servizi alle consorziate stesse.

Di conseguenza, solo quando il consorzio acquisisca autonomamente una commessa a scopo di lucro, e proceda ad un autonomo adempimento della stessa indipendentemente dalla partecipazione delle consorziate, non dovrà procedersi al ribaltamento dei costi tra tutti costoro; al contrario, il ribaltamento di costi e ricavi dovrà essere effettuato nel caso in cui il consorzio, pur avvalendosi di strutture proprie, abbia svolto servizi complementari, comunque connessi al criterio mutualistico di utilizzo del servizio consortile.

L’analisi del caso concreto

Nell’occasione, i giudici di legittimità hanno, inoltre, riaffermato il principio secondo cui la verifica cui è chiamato l’interprete – illustrata nelle righe che precedono – dev’essere necessariamente ancorata all’analisi del caso concreto.

Nello specifico – si legge nella pronuncia in commento - «si tratta di accertamenti da compiere sulla base dello statuto consortile e delle concrete modalità di svolgimento del rapporto poste in essere nel corso della sua durata».

Nel contesto descritto giova riproporre l’articolo 1363 del Codice civile, ai sensi del quale le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, dovendosi attribuire «a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto». La Corte, inoltre, si è spinta nell'affermare che rispetto all’attività tipica di un consorzio che, ricordiamo è caratterizzato dallo scopo di mutualità nei confronti dei propri consorziati, l’omissione dell’inquadramento giuridico tipicizzante la struttura consortile, potrebbe essere considerato, come un “fatto decisivo” nell’analisi del merito del giudizio.

Ed ancora, la Corte rileva come il consorzio «non potrà esprimere alcun risultato economico», dovendo sottostare alle finalità consortili. Ne discende che l’istituto del “ribaltamento consortile” dei costi sui consorziati è ancorato alle risultanze statutarie e regolamentari e che i costi «non possono che essere direttamente riferibili alle società consociate» con tutte le conseguenze del caso, in termini di inerenza dei costi e detrazione ai fini Iva.La norma, pertanto, impone di procedere al coordinamento delle varie clausole e di interpretarle complessivamente le une a mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso risultante dall’intero negozio.

Violazione del principio di interpretazione collettiva

Di conseguenza, la violazione del principio di interpretazione complessiva delle clausole contrattuali si configura non soltanto nell’ipotesi della loro omessa disamina, ma anche quando il giudice utilizza esclusivamente frammenti letterali della clausola da interpretare e ne fissa definitivamente il significato sulla base della sola lettura dei medesimi (Cassazione 6 giugno 2017, n. 20888, 4 maggio 2011, n. 9755).

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