Controlli e liti

Il nuovo Codice di condotta rilancia la lotta all’elusione

Pubblicata sulla Gazzetta europea la risoluzione che aggiorna la carta del ’97. Dai 27 l’impegno comune a rimuovere misure fiscali che generano dumping

di Alessandro Galimberti

A 25 anni dal varo, datato 1997, il Codice di condotta europeo per la tassazione delle imprese si fa un tagliando e affina i target d’azione.

Sulla Gazzetta ufficiale europea del 15 novembre (C 433/1) è stata pubblicata la risoluzione del Consiglio dell’Ue che licenzia la fase 2 dello strumento di soft law, pensato all’origine dall’Ecofin per ridurre le distorsioni del mercato unico e per prevenire consistenti perdite di gettito.

Nel mirino del nuovo Codice di condotta finiscono le misure fiscali «preferenziali» – scrive il Consiglio – che «incidono o possono incidere sull’ubicazione di attività imprenditoriali», creando in sostanza il noto fenomeno della concorrenza fiscale al ribasso, o meno prosaicamente il vero e proprio dumping fiscale intracomunitario.

La nuova versione, per la verità, si spinge anche più avanti, allungando il raggio d’azione del Codice sui territori extracontinentali controllati dagli Stati membri (ma non a quelli inclusi nella black list della Ue) impegnando gli stessi a implementare l’uso dei nuovi criteri anche nelle relazioni con terze parti.

Le regole comuni di soft law non entrano ovviamente nelle competenze statali – le “dirette” sono territorio di riserva assoluta – e neppure in quelle dell’Unione, ma sono rivolte ad eliminare, pur sempre in via consensuale, le misure fiscali preferenziali «di applicazione generale» che determinano un livello d’imposizione effettivo nettamente inferiore rispetto a quello praticato, «compresa l’imposizione zero».

L’Ecofin ha individuato quattro indizi per far emergere condotte poco fair: il primo riguarda le agevolazioni completamente isolate di fatto o di diritto dall’economia nazionale, come quelle riservate esclusivamente ai non residenti o per operazioni effettuate con non residenti, o ancora quelle regole che non incidono sulla base imponibile nazionale.

Il secondo indizio riguarda agevolazioni accordate in mancanza di qualsiasi attività economica effettiva e di una «presenza economica sostanziale nello Stato» che offre scivoli fiscali.

Terzo elemento di sospetto vengono qualificate le norme sui profitti interni di un gruppo multinazionale che si discostano dai principi condivisi in sede Ocse. Infine, nel mirino cadranno misure fiscali che «difettano di trasparenza, compresi i casi in cui le norme giuridiche sono applicate in maniera meno rigorosa e in modo non trasparente a livello amministrativo».

L’impegno di compliance rispetto al nuovo Codice non riguarda solo il futuro ma coinvolge anche le normative in vigore e le prassi esistenti, che andranno adeguate al nuovo regime in vigore dal 1°gennaio 2024 (ma con occhio rivolto alle norme applicate dal 1° gennaio 2023).

I punti di attrito della nuova normativa sono, con tutta evidenza, l’ambito degli aiuti di Stato (al sospetto dei quali,comunque, la palla è rimessa alla Commissione) e soprattutto le misure a sostegno dello sviluppo economico di regioni ultra-periferiche e delle piccole isole, in cui si dovrà valutare se gli incentivi siano «proporzionati e mirati rispetto all’obiettivo perseguito» senza compromettere l’integrità e la coerenza dell’ordinamento giuridico dell’Unione.

Nella risoluzione pubblicata il 14 novembre il Consiglio torna poi a invitare gli Stati membri a «cooperare pienamente nella lotta contro l’elusione e l’evasione fiscali, in particolare scambiandosi informazioni tempestive tra loro, secondo le rispettive legislazioni nazionali, il diritto dell’Unione e secondo le norme internazionali» .

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©