Controlli e liti

Cooperative compliance, dialogo da potenziare

La delega è l’occasione per migliorare l’adempimento collaborativo: dal ruolo delle Entrate fino agli incentivi

di Antonio Tomassini

La certezza del diritto è uno dei pilastri della delega fiscale ed è un bene che sia così. La stabilità delle regole, agli occhi degli investitori, vale più delle basse aliquote. Se poi pensiamo ai vincoli di bilancio per l’attuazione della delega, allora il distendersi dei rapporti tra Fisco e contribuente e l’andare verso la predeterminazione dell’imponibile è proprio lo scatto culturale su cui focalizzarsi.

Questo obiettivo passa dall’annunciato potenziamento della cooperative compliance, il tutoraggio per le imprese con più di un miliardo di fatturato (soglia da abbassare a quella “internazionale” di 750 milioni, aprendo poi alle società dei gruppi con soggetti che presentino comunque i requisiti, e a tendere ancor di più, coinvolgendo i professionisti come “certificatori” del tax control framework). Del resto, questo è il trend internazionale. Si pensi alla nuova rendicontazione societaria di sostenibilità (Csrd), che parla con la funzione sociale dei tributi e impone una reportistica sempre più dettagliata, e al Pillar II che – safe harbour (da stabilizzare) a parte – sembra il preludio a una nuova, globale, forma di rendicontazione.

Tornando in Italia, vi sono una serie di interventi che l’esperienza quasi decennale delle (oggi) 92 società nel regime di adempimento collaborativo rende necessari. Innanzitutto, il rafforzamento e il maggiore coordinamento della macchina amministrativa: il ruolo delle Entrate è fondamentale ed è giusto allocare maggiori risorse, tendendo a centralizzare il tutoraggio presso un unico ufficio. Ciò si collega con la necessità di innalzare le soglie di materialità delle segnalazioni da effettuare all’Agenzia e garantire un dialogo più snello con i funzionari (gli interpelli abbreviati non bastano), che faccia leva sulle nuove tecnologie. Inoltre, potrebbe prevedersi, in linea con la prassi internazionale, una forma di arbitrato per comporre in modo spedito e agevolato potenziali difformità di vedute. Ancora – tema sentito e in linea con l’altro obiettivo della delega di garantire la proporzionalità – si potrebbe puntare all’esclusione dalle sanzioni penali (eccetto le frodi di particolare gravità) e in alcuni casi amministrative (sulla scorta della penalty protection per il transfer pricing).

Anche per garantire tutto ciò, sarebbe giusta la certificazione del tax control framework da parte di professionisti (che, come si diceva, potrebbe essere la via per “aprire” a soggetti di minori dimensioni). Infine, nello spirito della compliance integrata che oggi si va affermando, perché non attribuire un ruolo più attivo all’organismo di vigilanza della 231 (che potrebbe fungere da “tax compliance officer esterno”)?

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