Controlli e liti

Sui frontalieri ci sono già strumenti per assicurare un reale riscontro

di Roberto Bianchi e Samuele Vorpe

Sono lavoratori frontalieri in Svizzera, ai sensi della specifica disciplina convenzionale, i contribuenti che risiedono in un Comune italiano il cui territorio risulta essere racchiuso, anche solo parzialmente, in una striscia di 20 km dal confine con uno dei Cantoni del Ticino, dei Grigioni e del Vallese e che raggiungono per svolgere una attività di lavoro dipendente; non è tuttavia richiesto che l’attività venga svolta in un Cantone «frontista» rispetto al Comune di residenza. Tutto ciò è quanto affermato dalle Entrate attraverso la risoluzione 38/E/2017 .

Ai sensi dell’articolo 15, comma 4, della Convenzione Italia-Svizzera avverso le doppie imposizioni stipulata il 9 marzo 1976 e ratificata mediante la legge 943/1978, «il regime fiscale applicabile ai redditi ricevuti in corrispettivo di un’attività dipendente dei lavoratori frontalieri è regolato dall’Accordo tra l’Italia e la Svizzera relativo alla imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine del 3 ottobre 1974».

L’articolo 1 del richiamato Accordo bilaterale, ratificato attraverso la legge 386/1975, dispone che «i salari, gli stipendi e gli altri elementi che fanno parte della remunerazione che un lavoratore frontaliero riceve in corrispettivo di una attività dipendente sono imponibili soltanto nello Stato in cui tale attività è svolta».

Tuttavia il protocollo che ha modificato la Convenzione tra Italia e Svizzera per evitare le doppie imposizioni è entrato in vigore il 13 luglio 2016 alla conclusione delle rispettive procedure di ratifica. La novità principale consiste nella possibilità, per entrambi gli Stati, di formulare delle richieste di assistenza amministrativa in materia fiscale con la conseguenza che anche le autorità elvetiche potranno ora richiedere all’Italia informazioni sui propri contribuenti.

Se pensiamo ai lavoratori frontalieri che risiedono nella zona di frontiera, l’accordo vigente stabilisce che lo Stato in cui viene svolta l’attività lucrativa dipendente può trattenere un’imposta sul reddito del lavoro e, successivamente, ma solo da parte svizzera, deve ristornare ai Comuni di frontiera il 38,8% delle imposte federali, cantonali e comunali incassate.

A tal proposito le autorità svizzere avevano sollevato il problema dei falsi frontalieri, ovvero di coloro che non rientravano quotidianamente al luogo di domicilio. Allora si era giunti a ritenere che questo fenomeno riguardasse solo il 3% dei frontalieri che lavorano in Svizzera. Oggi, con la libera circolazione delle persone il frontaliere, per essere qualificato come tale, deve ritornare almeno una volta alla settimana (e non più giornalmente) al proprio domicilio. Tuttavia l’accordo sui frontalieri del 1974 non è stato inciso dalla definizione di lavoratore frontaliero sulla base dell’accordo sulla libera circolazione delle persone.

Tra l’altro la Dre Lombardia, rispondendo a un interpello (904-45720/2008), ha definito frontaliere ai sensi dell’accordo quella persona che rientra quotidianamente al proprio domicilio. È quindi lecito presumere che, anche in base all’accordo del 1985, la nozione di frontaliere dovrebbe essere collegata al rientro giornaliero nel luogo di residenza.
È verosimile che dal 1985 a oggi la percentuale di falsi frontalieri sia pertanto aumentata. Inoltre, considerando che il carico tributario svizzero risulta essere nettamente inferiore rispetto a quello italiano, non si può escludere che alcuni frontalieri di fatto residenti al di fuori dalla fascia dei 20 chilometri e pertanto tenuti a dichiarare il reddito in Italia, abbiano fittiziamente trasferito il loro domicilio in un Comune della zona di frontiera, comportando per la Svizzera un incremento della quota di ristorni da riversare.

Per combattere questo fenomeno, l’autorità svizzera potrebbe pertanto formulare all’autorità italiana una domanda raggruppata affinché identifichi questi soggetti che hanno agito secondo il medesimo modello di comportamento.

Come rileva il Commentario del modello Ocse «è questo il caso in cui lo Stato richiedente fornisce una descrizione dettagliata su di un gruppo di contribuenti, indicando fatti e circostanze che lo hanno portato ad effettuare la richiesta, spiegando la legge applicabile e le ragioni in base alle quali ci sia da presupporre che un gruppo di contribuenti, oggetto della domanda, non abbia rispettato questa legge».

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