Controlli e liti

La Ue: persi 5,4 miliardi di tasse da Google e Facebook

di Alessandro Galimberti

Alla vigilia dell’Ecofin di domani e sabato a Tallinn – con la proposta rafforzata dei quattro principali premier europei per una web tax europea – la questione digitale nel vecchio continente sta ormai monopolizzando le esternazioni dei leader e delle istituzioni internazionali. Mentre il presidente della Commissione Juncker lancia con entusiasmo la riforma a maggioranza qualificata, considerando scontato il “niet” dei paradisi intra Ue («Clausole ponte per poter votare a maggioranza qualificata sulle materie in cui si vota all’unanimità»), dall’Ocse fanno sapere che la scelta del G4 da “sdoganare” a Tallinn «sarà solo una soluzione temporanea» anche se potrà contribuire a «trovare una soluzione definitiva» al problema dell’elusione internazionale. L’avvisaglia arriva dal direttore del centro di politica e amministrazione fiscale dell’Ocse, Pascal Saint-Amans, durante l’audizione presso la commissione finanze dell’assemblea nazionale a Parigi. Juncker invece sembra tirare per la sua strada con insolita determinazione, dopo anni di attendismo sul dossier: Iva, transazioni finanziarie, tassazione dell’economia digitale (webtax), la base imponibile per la tassazione delle imprese saranno i temi su cui l’Europa recupererà «l’efficacia istituzionale».

Intanto però - o forse proprio per questo - da Bruxelles anticipano l’uscita, per oggi, di un dossier che avrebbe calcolato l’imposizione e le imposte perse dalla Comunità nel triennio 2013-15, e solo per mano di Google e Facebook (i due colossi Usa basati fiscalmente nel paradiso comunitario Irlanda). Secondo il responsabile politico del team di riforma della corporate tax europea, il socialista Paul Tang, in tre anni sono drenati ricavi per 54 miliardi di euro che, calcolati sull’aliquota media pagata da Google fuori dalla Ue, significano la volatilizzazione di 5 miliardi di euro di imposta, che Dublino ha incassato per una frazione infinitesimale, lo 0,82 % grazie agli amichevoli scivoli di attrazione.

Quanto a Facebook, sempre secondo Tang, fuori dall’Unione europea paga tra il 28 e il 34% sui ricavi, mentre in Europa, e sempre grazie al double-Irish, oscilla tra lo 0,03% e lo 0,10 per cento. Con questa “frazione”, sommata alla presunta elusione Google, l’erario Ue perde una media di 1,8 miliardi di euro all’anno di imposta, dice il rapporto Tang. Il suo promotore, proprio per questo, si avvia a presentare all’assemblea comunitaria una riforma complessiva della corporate tax, che diventerebbe per la prima volta “europea”, cioè armonizzata. Lo schema scelto è però abbastanza distante dall’opzione che domani approderà a Tallinn per iniziativa dei G4 d’Europa (Francia; Italia, Germania e Spagna): mentre l’Ecofin dibatterà su una vera digital tax - legata al traffico digitale vero e proprio e impostata sull’imposizione dei ricavi, non dei redditi - la riforma Tang batte sul concetto di «piattaforme digitali», prevedendo che l’obbligo fiscale scatta al superamento di 5 milioni di giro d’affari.

E quanto alla proposta dei G4, lo stesso studio calcola che la web tax in attesa di essere svelata a Tallin potrebbe portare nelle casse dell’erario comune 4 miliardi di euro, calcolati sull’aliquota del 5% sui ricavi prevista dalla mini riforma.

Fuori dagli studi resta, almeno per ora, Amazon, fiscalmente domiciliato in Lussemburgo. Motivo? Nel triennio considerato il più grande market place del globo «non ha prodotto utili». Forse la riforma fiscale della cenerentola Ue è davvero non più procrastinabile.

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