Imposte

Operazioni straordinarie penalizzate dal fisco

Con la stretta sulle riserve rischio aumento del prelievo sulle società beneficiarie

di Michela Folli e Marco Piazza

Ha destato sorpresa e inquietudine la posizione espressa dall’agenzia delle Entrate nella bozza di circolare sulla rivalutazione dei beni d’impresa, e nell’interpello n. 956-1943/2021 (si veda l’articolo di NT+ Fisco del 22 novembre) secondo cui la società incorporante o beneficiaria della scissione dovrebbe ricostituire le riserve di rivalutazione in sospensione d’imposta dell’incorporata o attribuita dalla scissa anche per l’eccedenza rispetto all’aumento di capitale o all’avanzo di fusione o scissione. Secondo l’Agenzia ove l’incorporante o la beneficiaria non disponesse di sufficienti riserve libere proprie da vincolare le riserve da rivalutazione eccedenti dovrebbero concorrere a formare il suo reddito imponibile.

Il motivo per cui l’Agenzia è giunta a questa conclusione è che le riserve di rivalutazione in sospensione d’imposta non rientrerebbero fra quelle cosiddette «tassabili solo in caso di distribuzione» per le quali l’articolo 172, comma 5, richiamato per le scissioni dall’articolo 173, comma 9, del Testo unico impone la ricostruzione solamente nei limiti dell’aumento di capitale e dell’avanzo di fusione o scissione.

Come evidenziato nell’articolo di NT+ Fisco del 23 novembre, tuttavia, da quando nel Testo unico è stata introdotta la nozione di «riserva tassabile solo in caso di distribuzione» nessuno ha mai dubitato che essa comprendesse le riserve di rivalutazione in sospensione d’imposta. Era stato, infatti, lo stesso legislatore a precisarlo nella relazione governativa all’articolo 125 dello schema di testo unico delle imposte sui redditi, poi divenuto l’articolo 123 (ora articolo 172) del Dpr 917 del 1986. Nella relazione, infatti, le riserve di rivalutazione sono espressamente enunciate come esempi di «riserve tassabili solo in caso di distribuzione».

Il nuovo orientamento delle Entrate si fonda su una questione lessicale: la riserva di rivalutazione non può essere annoverata fra quelle tassabili solo il caso di distribuzione, poiché in alcuni precedenti di prassi (si veda la risoluzione 32/E del 2005 e la risposta a interpello 316 del 2019) l’Agenzia ha ritenuto tassabile la riserva di rivalutazione anche in mancanza di distribuzione ai soci.

Considerato il fatto che il legislatore aveva già chiarito che queste riserve rientrano tra quelle che sono «tassabili solo in caso di distribuzione», sono state sollevate diverse ulteriori perplessità. Vediamo nel dettaglio.

1 Ci si chiede a quale tipologia di riserve si riferisca la locuzione contenuta nell’articolo 172, comma 5 una volta che si escludano quelle di rivalutazione, dato che ormai, tutte le altre (poche) riserve in sospensione sono tassabili in ogni caso di utilizzo.

2 Inoltre, sia la risoluzione 32/E del 2005, sia la risposta 316 del 2019 riguardano casi diversi da quelli che rientrano nell’articolo 172, comma 5: la prima un caso di utilizzo per annullamento di azioni proprie, la seconda un caso di utilizzo di riserva esistente nel netto dell’incorporante e non in quello dell’incorporata.

3 Infine, gli argomenti contenuti nei documenti di prassi citati non sono in generale ritenuti condivisibili (si veda Assonime circolari 6 e 18 del 2021, e Aidc, Norma di comportamento 211) perché confliggono con l’essenza stessa del regime delle riserve di rivalutazione che è di quello di condizionare la sospensione al fatto che il saldo non sia attribuito ai soci (vedi articolo 13, comma 3, della legge 342/2000), circostanza che, nel caso di fusione e scissione non si verifica.

Per quanto noto, in tutte le fusioni e scissioni fatte dall’entrata in vigore del Testo unico le riserve di rivalutazione sono state ricostituite solo nei limiti dei corrispondenti aumenti di capitale e avanzi di fusione o scissione e la correttezza di questo comportamento non è mai stata messa in discussione dall’Agenzia (si veda non solo la chiarissima risoluzione 1/E del 2001, ma anche il caso di cui alla recente risposta 27 del 2018).

Il cambio di orientamento, oltre a comportare il rischio dell’insorgere di controversie su comportamenti pregressi, causa incertezze sulle operazioni in corso.

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