Controlli e liti

Srl a ristretta base, il socio può contestare la rettifica

L’ordinanza 21356/2022 della Cassazione ammette la possibilità di contestare l’importo senza che rilevi l’eventuale giudicato formatosi verso l’ente

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Il socio di una società di capitali a ristretta base che non ha ricevuto l’atto di accertamento della società può sempre contestare, nella rettifica che lo riguarda, anche il quantum della rettifica fatta a quest’ultima, senza che rilevi l’eventuale giudicato formatosi nei riguardi dell’ente partecipato. La precisazione, per nulla scontata, è contenuta nell’ordinanza 21356/2022 della Cassazione. Va detto che la pronuncia non appare sempre del tutto lineare, anche se il criterio di diritto enunciato al termine di essa sembra sufficientemente preciso.

Si trattava di un socio di una società fallita al cui curatore era stato notificato un avviso di accertamento resosi definitivo a seguito di sentenza passata in giudicato. Il socio aveva ricevuto l’atto di accertamento del maggior reddito di capitale riveniente dalla imputazione degli utili in nero della società fallita ma non aveva partecipato al giudizio instaurato da questa, in quanto non destinatario del relativo provvedimento impositivo.

In sede di impugnazione dell’atto riferito alla sua quota di utili, il socio aveva dedotto motivi che attenevano alla rettifica eseguita in capo alla società. La Ctr aveva tuttavia rigettato le ragioni del contribuente, asserendo che, stante il giudicato sull’avviso della società, il socio non poteva più muovere alcuna contestazione in proposito. La Cassazione ha invece riformato la sentenza di secondo grado, affermando il principio secondo cui, laddove il socio non sia stato destinatario dell’accertamento della società e non abbia quindi partecipato al giudizio intentato da quest’ultima, egli conserva il diritto di eccepire non solo ragioni afferenti, ad esempio, alla sua estraneità rispetto alla gestione sociale ma anche motivi riferiti alla infondatezza/illegittimità dell’accertamento “madre”.

Si tratta di pronuncia che, in un certo senso, argina la deriva giurisprudenziale volta a replicare nelle società di capitali a ristretta base il principio di tassazione per trasparenza, tipico delle società di persone.

In proposito, si segnala, ad esempio, l’ordinanza 21295 di martedì 5 luglio con cui la Cassazione afferma che il maggior reddito di capitale deve essere imputato ai soci che rivestono tale qualifica alla chiusura del periodo d’imposta. Ai soci receduti in corso d’anno, dunque, non può essere attribuito alcun utile in nero. Questa trasposizione di regole proprie della trasparenza al di fuori della casistica disciplinata negli articoli 5 e 116 del Tuir lascia molto perplessi.

Oltre tutto, gli uffici trasferiscono ai soci (come «utili in nero») lo stesso imponibile accertato in capo alla società, senza scomputare le maggiori imposte accertate nei confronti di quest’ultima. E’ chiaro, però, che l’«utile» percepito dai soci può essere presuntivamente considerato tale soltanto se viene depurato dalle imposte gravanti sulla società in relazione al maggiore reddito accertato nei confronti della stessa.

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