Imposte

Per i redditi oltre 15mila euro extra bonus non in busta paga

Con la nuova Irpef si restringe il campo di applicazione del bonus 100 euro

di Andrea Dili

La revisione dell’imposta sui redditi delle persone fisiche definita dall’ultima legge di bilancio è stata declinata attraverso una pluralità di interventi, essenzialmente riassumibili nella ridefinizione degli scaglioni di reddito e delle relative aliquote e nella rimodulazione delle detrazioni afferenti i redditi di lavoro e pensione.

In tale contesto, le novità più rilevanti riguardano senz’altro il perimetro dell’imposizione sui redditi di lavoro dipendente, all’interno della quale si registra, accanto alla nuova disciplina delle detrazioni, il restringimento del campo di applicazione del trattamento integrativo regolato dall’articolo 1 del decreto legge 3/2020, noto come «bonus 100 euro».

A ben vedere, se nel corso dell’iter parlamentare della legge di Bilancio si era ragionato sull’ipotesi di sopprimere tout court il bonus a vantaggio di un significativo incremento dell’ammontare della detrazione per lavoro dipendente, in fase di definizione della norma si è optato per una soluzione intermedia.

In buona sostanza, l’intervento del legislatore si è focalizzato sul rafforzamento della detrazione e sulla riduzione del campo di applicazione del trattamento integrativo, in modo da garantire una diminuzione generalizzata del carico impositivo su una platea molto ampia di contribuenti. In particolare, a decorrere dal 2022 il limite reddituale (reddito complessivo ad esclusione di quello derivante dall’abitazione principale e relative pertinenze) per accedere al «bonus 100 euro» passa da 28mila a 15mila euro.

In via ordinaria, quindi, per i soggetti con redditi maggiori di 15mila euro la soppressione del bonus viene più che compensata dall’incremento della detrazione, generando risparmi d’imposta fino a un massimo di 945 euro annui.

Il suddetto meccanismo, tuttavia, potrebbe penalizzare quei soggetti che pur conseguendo redditi superiori a 15mila euro godono di detrazioni maggiori dell’imposta lorda. In tali casi, infatti, il passaggio dal bonus (incassato in busta paga) alla detrazione (utilizzabile fino a capienza dell’imposta lorda) non sarebbe neutrale, determinando una penalizzazione dei contribuenti incapienti.

Al fine di evitare tale inconveniente il legislatore ha definito una clausola di salvaguardia a favore dei lavoratori dipendenti con redditi compresi tra 15.001 e 28mila euro, prevedendo l’erogazione del trattamento integrativo della retribuzione nei casi in cui l’ammontare delle detrazioni spettanti sia maggiore dell’imposta lorda.

Ai fini del suddetto calcolo la norma individua un elenco inclusivo delle detrazioni da considerare, ovvero quelle afferenti a:

O familiari a carico;

O lavoro dipendente;

O interessi su mutui contratti entro il 2021;

O rate relative a spese sanitarie, interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici e altre detrazioni per spese sostenute entro il 2021.

Il meccanismo di salvaguardia, quindi, tende a “rifondere” il contribuente incapiente delle detrazioni non effettivamente godute, attraverso il riconoscimento di un trattamento integrativo della retribuzione pari alla differenza tra l’ammontare delle predette detrazioni e l’imposta lorda (nel limite di 1.200 euro annui).

Va, tuttavia, evidenziato che in tali casi l’erogazione mensile del bonus attraverso la busta paga diviene materialmente impossibile, considerando che il diritto a usufruirne e il relativo ammontare verranno definiti soltanto in fase di redazione della dichiarazione dei redditi, anche se la traslazione della maggior parte dei carichi di famiglia verso l’assegno unico limiterà considerevolmente tali casistiche.

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