I temi di NT+Modulo 24

Superato l’effetto «sottozero» in caso di recesso dalla società semplice

La liquidazione della quota del socio non è rilevante fiscalmente né per il socio che la riceve né per la società che la paga

di Leo De Rosa e Alberto Russo

La società semplice si rivela come una modalità di detenzione "comune" del patrimonio familiare stabile ed efficiente, basata sulle regole del diritto societario.

Il suo utilizzo è stato avallato dal legislatore (articolo 29, legge 449/1997 ) e dalla stessa agenzia delle Entrate (risoluzione 150/E del 10 giugno 2009; risposta interpello 901-171/2017) e, peraltro, rappresenta uno strumento molto più efficace del regime di comproprietà (articoli 1110 e seguenti del Codice civile), ove sussisterebbe il diritto di ciascuno dei partecipanti alla comunione di chiederne lo scioglimento entro determinati limiti di tempo (articoli 713 e 1116 del Codice civile). Inoltre, con la costituzione della società semplice, si evita che le vicende patrimoniali pregiudizievoli di un soggetto si ripercuotano sugli altri (articolo 2270 del Codice civile) e che la situazione di "contitolarità" possa essere minata nella sua stabilità (esclusione dell’applicazione dell’articolo 1111 del Codice civile).

Tramite il ricorso alla società semplice si limita l’accesso alla "contitolarità" di soggetti terzi, estranei alla famiglia, sia sul piano della successione mortis causa (articolo 2284 del Codice civile) che sul piano della circolazione inter vivos della quota (articolo 2252 del Codice civile).

Rispetto al trust, la società semplice è preferibile in quanto non comporta un definitivo spossessamento della ricchezza conferita in società e si applicano le più tutelanti regole del diritto societario. Inoltre, la società semplice garantisce una flessibilità a livello di governance, una gestione collettiva dei beni conferiti senza vincoli e meno adempimenti (non è infatti previsto l’obbligo delle scritture contabili, della pubblicazione del bilancio rispetto alle società di persone commerciali e di capitali; non si applica la disciplina delle società di comodo, degli Isa, ecc.) rispetto alle società di capitali e di persone commerciali.

Il ricorso alla società semplice non rappresenta una soluzione motivata da ragioni fiscali quanto piuttosto, come detto, dal particolare regime giuridico che caratterizza questo strumento societario tenuto conto che, come meglio si dirà nel prosieguo, la società semplice non producendo reddito d’impresa mal si presta a strumentalizzazioni della struttura societaria volte al conseguimento di vantaggi fiscali (ad esempio, deduzione interessi passivi, detrazione dell’Iva sugli acquisti, ecc.).

La normativa in caso di recesso del socio

Premesse quindi le ragioni (giuridiche e non) che permettono di apprezzare la scelta della forma societaria in società semplice, si intende chiarire se, in quale misura e con quali modalità gli articoli 20-bis e 47, comma 7, del Tuir, possono trovare applicazione alla società semplice in caso di recesso del socio.

In particolare, l'articolo 20-bis del Tuir, introdotto dal Dlgs 19 novembre 2005, n. 247 (cosiddetto Correttivo Ires), stabilisce che «ai fini della determinazione dei redditi di partecipazione compresi nelle somme attribuite o nei beni assegnati ai soci o agli eredi, di cui all'articolo 17, comma 1, lett. l), del Tuir - cioè i redditi compresi nelle somme e valori attribuiti al socio in sede di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti -, valgono, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 47, comma 7, indipendentemente dall’applicabilità della tassazione separata».

Mentre, l’articolo 47, comma 7, del Tuir prevede che «le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate».

L’applicabilità degli articoli 20-bis e 47, comma 7, del Tuir, alla società semplice deve essere attentamente vagliata poiché è suscettibile di ingenerare delicati cortocircuiti. Infatti, un’estensione incondizionata di quanto espresso dal combinato disposto degli articoli 20-bis e 47 del Tuir al caso della società semplice potrebbe comportare fenomeni di tassazione anomala/doppia imposizione che l’ordinamento intende chiaramente evitare. I potenziali cortocircuiti derivanti dall’applicazione automatica degli articoli 20-bis e 47, comma 7, del Tuir, hanno indotto i contribuenti a sollecitare l’agenzia delle Entrate a pronunciarsi sul tema, confidando in un orientamento "evolutivo" che tenesse conto dell’esigenza di rispettare il regime fiscale tipico della società semplice fondato sull’unicità del livello di tassazione e della natura non commerciale dell’attività esercitata.

L’interpretazione dell’agenzia delle Entrate

Conseguentemente, l’agenzia delle Entrate, pur ribadendo l’applicazione alla società semplice delle suddette disposizioni normative, ha dato un’interpretazione delle stesse in chiave evolutiva e dinamica. In particolare, è stato affermato che:

• atteso che la società non può conseguire redditi d’impresa, tale tipologia di società determina il proprio reddito imponibile quale sommatoria delle singole categorie di reddito indicate nell’articolo 6 del Tuir (risposta agenzia delle Entrate - Direzione Regionale della Lombardia n. 904-91/2013 del 22 aprile 2013; risposta agenzia delle Entrate - Direzione Regionale del Piemonte n. 901-526/2017);
• affinché si verifichi l’imputazione per trasparenza del reddito di partecipazione in capo ai soci è necessaria la presenza del presupposto impositivo in capo alla società secondo quanto previsto dal Tuir (risposta agenzia delle Entrate - Direzione Regionale della Lombardia n. 904-91/2013 del 22 aprile 2013; risposta agenzia delle Entrate - Direzione Regionale del Piemonte n. 901-526/2017);
• per quanto riguarda l’imposizione diretta in capo ai soci occorrerà applicare l’articolo 20-bis del Tuir in tema di redditi delle società personali nell’ipotesi di liquidazione. Tale disposizione normativa emessa in tema di quantificazione dell’eventuale reddito che si forma in capo ai soci di società personali, rimanda all’applicazione del citato articolo 47, comma 7, del Tuir;
• in tema di qualificazione del reddito, già la circolare 6/E del 13 febbraio 2006 aveva precisato che l’articolo 20-bis del Tuir definisce quali redditi di partecipazione i redditi compresi nelle somme attribuite o nel valore dei beni assegnati ai soci delle società di persone nei casi di recesso, esclusione, riduzione del capitale e liquidazione. Tuttavia, considerato che i redditi di partecipazione non costituiscono una autonoma categoria reddituale elencata nell’articolo 6 del Tuir, gli stessi assumono la natura del reddito da cui traggono origine. Tale orientamento è stato confermato più volte dall’agenzia delle Entrate (risoluzione 64/E del 25 febbraio 2008; circolare 47/E del 18 giugno 2008; risposta 28 dell’11 gennaio 2021; risposta 156 del 5 marzo 2021). Precedentemente, l’agenzia delle Entrate riteneva che il reddito di partecipazione ricadeva nelle categorie dei redditi di capitale o redditi diversi (risoluzione 3/318 del 12 giugno 1978; risoluzione 9/849 del 12 giugno 1978; risoluzione 9/540 del 13 marzo 1979; circolare 54/E del 19 giugno 2002; risoluzione 120/E del 18 aprile 2002). Pertanto, «la componente reddituale compresa nell’importo percepito dal socio uscente e determinata secondo le regole dall’articolo 47, comma 7, del Tuir, in quanto compatibili, derivando dalla partecipazione in una società di persone commerciale, assume natura di reddito d’impresa e deve essere tassato in capo al socio secondo il generale principio di competenza che sottende alla determinazione di tale reddito. Il medesimo principio dovrebbe essere utilizzato anche per le partecipazioni in società semplici, con la conseguenza che, nel caso di scioglimento di società semplice che detenga immobili, i redditi compresi nel valore normale dei beni assegnati ai soci, determinati secondo le regole dettate dall’articolo 47, comma 7, del Tuir, si qualificano come plusvalenze immobiliari» (risposta agenzia delle Entrate - Direzione Regionale della Lombardia 904-91/2013 del 22 aprile 2013; risposta agenzia delle Entrate - Direzione Regionale del Piemonte 901-526/2017);
• i redditi prodotti dalla società semplice sono qualificati in ragione della loro fonte di produzione e concorrono al reddito complessivo come sommatoria dei redditi appartenenti a ciascuna categoria reddituale, al netto degli oneri deducibili e con esclusione dei redditi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o di imposta sostitutiva e dei redditi esenti (articolo 3 del Tuir) (risposte agenzia delle Entrate 689 dell’8 ottobre 2021 e 691 dell’8 ottobre 2021);
• il reddito complessivo così determinato è dichiarato con propria dichiarazione dalla società semplice quale autonomo centro di imputazione di situazioni giuridicamente rilevanti, ma l’assoggettamento ad imposta avviene, in forza del principio di imputazione per trasparenza di cui all’articolo 5 del Tuir, direttamente in capo a ciascun socio in proporzione alla propria quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dall’effettiva percezione dello stesso;
• la netta distinzione tra il momento dell’assoggettamento ad imposta di tale reddito direttamente in capo al socio e il momento della percezione materiale dello stesso comporta che le successive movimentazioni di redditi già tassati rappresentino mere movimentazioni patrimoniali, prive di qualsiasi rilevanza ai fini impositivi (risposte agenzia delle Entrate 689 dell’8 ottobre 2021e 691 dell’8 ottobre 2021);
• pertanto, limitatamente agli utili già imputati per trasparenza in capo ai soci, infatti, le successive distribuzioni determinano esclusivamente un effetto indiretto, vale a dire una variazione del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione (articolo 68, comma 6 del Tuir). Diversamente, la tassazione definitiva in capo alla società semplice in ragione della presenza di redditi esenti o assoggettati ad imposizione sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo di imposta comporta che tali importi non concorrano al reddito complessivo imponibile della società (e alla relativa imputazione per trasparenza) e la successiva distribuzione degli stessi non subisca alcuna imposizione e non incida neppure sul costo fiscalmente conosciuto della partecipazione (risposte agenzia delle Entrate 689 dell’8 ottobre 2021e 691 dell’8 ottobre 2021).

Superato l’effetto «sottozero»

In tale sforzo interpretativo, l’agenzia delle Entrate ha quindi finalmente superato la possibile tassazione del cosiddetto effetto "sottozero", affermando che «tale disposizione [articolo 47, comma 7, del Tuir] concepita per le società di capitali, trovi applicazione in quanto compatibile (in tal senso l’articolo 20-bis del Tuir) e deve essere coordinata sia con la previsione del citato articolo 68, comma 6 del Tuir che con le peculiarità della società semplice. Di conseguenza, non assumeranno rilievo in tale occasione le eventuali attribuzioni di importi, opportunamente documentate, che non hanno concorso alla determinazione del reddito complessivo della società semplice perché esenti, o assoggettati ad imposizione sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo di imposta» (con la risposta dell’agenzia delle Entrate 754 del 28 ottobre 2021, è stato affermato che l’operazione di cessione della partecipazione detenuta dalla società semplice non genera una plusvalenza imponibile ai sensi dell'articolo 67 comma 1, lettera c-bis), del Tuir, se il costo della partecipazione è stato rideterminato ai sensi della legge sulla rivalutazione e il prezzo di cessione è stato il medesimo. «La successiva distribuzione ai soci delle somme rinvenienti dalla predetta cessione non può dar luogo a tassazione in capo al socio in quanto le somme attribuite derivano dalla cessione di partecipazioni che determinato la realizzazione da parte della società semplice di un reddito diverso di natura finanziaria pari a zero»).

Tale conclusione, peraltro, dovrebbe valere indipendentemente dalla natura del socio della società semplice (persona fisica o giuridica), come precisato dall’agenzia delle Entrate nella risposta 691 dell’8 ottobre 2021.

Le conseguenze sulla tassazione

Alla luce degli orientamenti espressi dall’agenzia delle Entrate, la liquidazione della quota del socio uscente fino a concorrenza della quota proporzionale di capitale sociale, riserve di capitale, riserve di utili e redditi esenti o assoggettati a tassazione definitiva alla fonte (ritenuta a titolo d’imposta e imposta sostitutiva), non è rilevante fiscalmente né per il socio che la riceve né per la società che la paga.

Diversamente, il regime di tassazione dell’importo relativo alla differenza da recesso che coincide con il plusvalore latente di un bene della società oppure con la sommatoria dei redditi in corso di formazione, non è stato ad oggi affrontato dall’agenzia delle Entrate.

La liquidazione della differenza da recesso coincidente con il plusvalore latente sarà soggetta a tassazione nella stessa misura in cui lo sarebbe stato qualora tale plusvalore si fosse effettivamente realizzato. Nel caso di redditi in corso di formazione, la quota parte della somma riferibile a tali redditi andrà scomposta tra le varie tipologie di reddito ex articolo 6 del Tuir ripartendo tale reddito sui singoli beni in base al valore corrente di ognuno di essi.

Laddove invece nel corso del periodo d’imposta dovesse essere realizzato un reddito della società semplice soggetto a imputazione per trasparenza in capo ai soci (ad esempio, cessione immobile prima del decorso dei cinque anni dalla data di acquisto) e successivamente nel medesimo periodo d’imposta si verificasse il recesso del socio, la quota parte della somma liquidata al socio uscente coincidente con il reddito a lui riferibile potrà essere ridotta delle imposte da esso dovute su tale reddito.

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