Controlli e liti

Così la conciliazione in appello cambia la pretesa del Fisco

Per le Entrate l'accordo ha «efficacia novativa» sul precedente rapporto. Secondo la Cassazione l'accordo può estinguere la pretesa fiscale originaria

di Paolo Mandarino

Con la circolare n. 9 del 19 aprile scorso l’agenzia delle Entrate chiarisce gli aspetti salienti della conciliazione agevolata delle controversie pendenti al 1° gennaio 2023 (a seguito del decreto legge 34/2023, anche quelle pendenti al 15 febbraio 2023) avanti le corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado aventi ad oggetto atti impositivi in cui è parte l’agenzia delle Entrate (si veda l’articolo 1, commi da 206 a 212, della legge di Bilancio 2023).

La prassi

La conciliazione si realizza tra il contribuente e l’Agenzia mediante sottoscrizione di un accordo «fuori udienza» ai sensi dell’articolo 48 del Dlgs 546/1992.

La circolare dell’agenzia delle Entrate precisa che l’accordo ha «efficacia novativa del precedente rapporto» replicando l’inciso della precedente circolare 38/E del 2015 in merito al novellato articolo 48 citato. La puntualizzazione è significativa visto l’ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale scisso nel relegare la conciliazione giudiziale tra gli accordi a natura «transattiva» (Cassazione 20386/2006 e 21325/2006) ovvero «novativa» (Cassazione 10981/2020 e 12110/2019), altrettanto considerato che non tutte le transazioni hanno carattere novativo (Cassazione 23674/2008).

La giurisprudenza

Secondo l’orientamento della Suprema Corte la conciliazione quale accordo novativo «comporta l’estinzione della pretesa fiscale originaria, unilaterale e contestata, e la sua sostituzione con una certa e concordata» (sentenze 10981/2020 e 9019/2015) alla quale ultima il giudice tributario ha solo un controllo legale estrinseco non consentendo sindacati di opportunità o sui termini dell’accordo (sentenze 21325/2006 e 12110/2019).

Doppio effetto

Da ciò due considerazioni. Innanzitutto, la conciliazione giudiziale deve ritenersi legittima anche laddove sia concertata con l’Ufficio una riqualificazione giuridico-fiscale della fattispecie originaria accertata, altrettanto non potendosi escludere per le questioni di solo diritto visto che l’articolo 48 del decreto legislativo 546/1992 non prevede limitazioni di sorta (si pensi ad esempio all’equivocità della norma).

Né le indicazioni della legge delega 662/1996 (articolo 3, comma 120, lettera b), che richiedevano al legislatore delegato l’individuazione delle materie oggetto di definizione e le cause di esclusione dalla conciliazione, hanno avuto un seguito.

Secondariamente, un accordo novativo potrà essere raggiunto anche in fase di appello senza che la definizione debba riferirsi ad una «controversia pendente» al 1° gennaio 2023 (15 febbraio 2023) cristallizzata nei precisi presupposti cui l’accertamento si è fondato. Lo stesso articolo 1, comma 206, rinvia genericamente all’articolo 48 del Dlgs 546/1992 che, novellato dall’articolo 9 del Dlgs 156/2015, oggi estende tout court al giudizio di appello la conciliazione giudiziale precedentemente ammessa al solo primo grado.

In questi termini la tregua mediante conciliazione può ritenersi un valido strumento di deflazione del contenzioso che potrà riguardare le controversie relative agli «atti impositivi» secondo l’ampia accezione resa dalla sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 18298/2021, cui è parte l’agenzia delle Entrate, e in cui i nuovi rapporti giuridici da formalizzare potranno essere concertati con l’Agenzia auspicando il superamento di possibili rigidità.

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