Controlli e liti

Iva, il contribuente giustifica gli acquisti indetraibili o «esenti»

La nuova norma sull’onere della prova offre una corretta chiave di lettura delle sentenze della Corte Ue. Tranne pochi casi opera una sorta di legittimità del diritto di detrazione

di Dario Deotto e Massimo Sirri

Le norme sull’onere della prova disposte con la riforma del processo tributario aprono nuove prospettive anche sul recupero della detrazione Iva.

Fin qui, infatti, prassi e Corte di cassazione si sono quasi sempre adagiate su quella giurisprudenza comunitaria (per tutte, la sentenza C-268/83) secondo cui è chi invoca la detrazione a dover provare le condizioni che ne autorizzano l’esercizio. Ciò però è avvenuto trascurando che la medesima giurisprudenza afferma altresì (cause riunite C-80/11 e C-142/11) che il diritto di detrazione è negato «ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi» che esso è stato invocato in modo fraudolento o abusivo, addossando in tal modo l’onere probatorio sulla parte pubblica.

Ma il gravame della prova dovrebbe ricadere sugli uffici non solo in caso di frode o inesistenza delle operazioni, in cui risulta pacifico che è la parte pubblica a dover dimostrare il “raggiro” (operazioni fraudolente/oggettivamente inesistenti) o la sua conoscenza/conoscibilità (inesistenza soggettiva), ma anche in tutte le situazioni “non patologiche” in cui la detrazione è negata per altri motivi e, su tutti, per supposta mancanza d’inerenza.

Tali conclusioni risultano coerenti con la stessa collocazione della detrazione nell’ambito del sistema impositivo. Il diritto di detrarre l’Iva spetta se e nella misura in cui i beni/servizi acquistati sono “impiegati” ai fini delle operazioni soggette a imposta (articolo 168, direttiva 2006/112) e va esercitato immediatamente (sentenza C-255/02) e prospetticamente, restando acquisito anche qualora le operazioni attive imponibili non abbiano potuto aver luogo (cause riunite C-110/98 e 147/98 e causa C-37/95).

Questi principi sono stati trasfusi nell’ordinamento nazionale, stabilendo che: 1 in base all’articolo 19, comma 1, del Dpr 633/72, l’esercizio immediato della detrazione è ammesso per gli acquisti eseguiti nell’esercizio d’impresa, arti o professioni (inerenza); 2 in base al comma 2 della stessa norma, esso è escluso per gli acquisti che afferiscono a operazioni esenti o prive d’imposta; 3 la detrazione non è ammessa, ex articolo 19-bis.1, per taluni beni/servizi per i quali opera una generale presunzione di non inerenza (totale o parziale).

Da tale configurazione dovrebbe dunque emergere che il sistema ha già individuato le fattispecie in cui l’onere della prova è in capo al contribuente. Ciò si verifica per gli acquisti oggettivamente indetraibili per i quali è il soggetto passivo a dover provare, ex articolo 19-bis.1, che la detrazione è comunque spettante. Ed è così anche per gli acquisti afferenti operazioni esenti/senz’Iva, per i quali è sempre il contribuente a dover dimostrare una diversa destinazione dei beni e dei servizi, o il fatto che sopravvengono nel tempo i presupposti per una rettifica della detrazione a suo favore (articolo 19-bis.2). In quest’ottica è logico dedurre che, fuori da questi casi, operi una sorta di legittimità del diritto di detrazione a favore del soggetto passivo Iva, con l’inevitabile conseguenza che spetta al fisco provare il contrario.

Il nuovo comma 5-bis, articolo 7, del Dlgs 546/92, che si affranca dall’articolo 2697 del Codice civile – e quindi, per come è stato fin qui interpretato, dalla prospettiva di un “diritto” (alla detrazione) che doveva essere esercitato dal contribuente – dovrebbe pertanto contribuire a far chiarezza sul punto, offrendo anche la corretta chiave di lettura delle pronunce della Corte di giustizia Ue.

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