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Impianti e bonifiche comunali, il contributo versato dai privati evita l’Iva se è marginale rispetto ai costi

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con le sentenze rese nelle cause C-612/21 e C-616/21 del 30 marzo 2023,

di Giorgio Emanuele Degani

La Corte di giustizia dell’Unione europea – con le sentenze rese nelle cause C-612/21 e C-616/21 del 30 marzo 2023 – ha chiarito che non è assoggettabile a Iva l’attività del Comune, consistente sia nella fornitura e installazione di impianti di fonti di energie rinnovabili, sia nella bonifica e smaltimento di rifiuti d’amianto, resa a favore dei proprietari di immobili residenti nel territorio dell’ente locale, laddove tale attività non sia finalizzata ad ottenere delle entrate di carattere permanente e preveda il pagamento, da parte dei contribuenti, di un contributo che copra al massimo un quarto delle spese sostenute e il saldo finanziato con fondi pubblici.

In tale ipotesi, non ricorre la soggettività passiva degli enti locali in quanto le attività di prestazione di servizi e cessione di beni non sono assoggettabili ad Iva.

Il caso nasce dal fatto che due Comuni polacchi realizzavano, rispettivamente, un accordo di partenariato al fine di realizzare un progetto diretto all’installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, e un programma di bonifica del territorio dall’amianto, mediante la rimozione e smaltimento di tali rifiuti utilizzati per realizzare immobili residenziali e non.

I cittadini interessati potevano partecipare a tali progetti, corrispondendo al Comune di residenza un contributo pari al 25% della spesa complessiva; il residuo sarebbe stato finanziato attingendo ai fondi comunali.

In particolare, per le attività di realizzazione degli impianti fotovoltaici, l’ente locale sarebbe rimasto proprietario degli impianti stessi per tutta la durata del progetto. Stante la peculiare situazione, i Comuni interessati hanno proposto istanza di interpello all’Amministrazione finanziaria, al fine di chiarire se il contributo versato dai proprietari dovesse essere o meno assoggettato all’Iva e se, dunque, il Comune fosse o meno un soggetto passivo del tributo.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, i Comuni dovevano essere qualificati come soggetti passivi Iva.

Tali interpelli venivano impugnati e il giudice nazionali rimetteva la causa alla Corte di giustizia. Quest’ultima ha rilevato che la direttiva n. 2006/112/Ce prevede che ci debba essere un nesso diretto tra la cessione di un bene o la prestazione di un servizio e il corrispettivo percepito dal soggetto passivo; ciò comporta che il nesso diretto ricorra laddove tra l’autore della cessione dei beni o la prestazione dei servizi e il destinatario di queste intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazione e il compenso ricevuto dal cedente o dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato o del bene ceduto al destinatario.

Inoltre, il requisito della sussistenza di attività economica impone che ci sia una attività stabile svolta a fronte di un corrispettivo ricevuto dall’autore dell’operazione.Tali condizioni non ricorrono nelle fattispecie oggetto di disamina, in quanto i cittadini corrispondono ai Comuni solo una minima quota (nel limite di un quarto) della spesa complessivamente sostenuta, con la conseguenza che il saldo viene attinto dai fondi pubblici locali.

Ciò esclude che l’ente locale possa porre in essere un’attività economica di prestazione di servizi o di cessione di beni: quando un Comune recupera attraverso i contributi di spesa che riceve solo una minima parte dei costi sostenuti, mentre il saldo è finanziato da fondi pubblici, uno scarto del genere tra i costi e gli importi percepiti come corrispettivo dei servizi offerti è tale da suggerire che tali contributi debbano essere assimilati a un canone piuttosto che a una remunerazione. Da ciò consegue che gli enti locali, per tali tipologie di attività, non siano da considerare soggetti passivi dell’Iva.