Imposte

Ricerca sui farmaci e i vaccini: il bonus ancora fermo al palo

Il credito d’imposta al 20% sulla Ricerca e sviluppo resta inutilizzato a quasi un anno dalla sua introduzione. Nel mirino la definizione di “novità” per le nuove terapie. Pressing del Mise per un chiarimento del Fisco

di Marzio Bartoloni

Immaginato in piena pandemia per dare più forza alla filiera dei vaccini e dei farmaci quando anche l’Italia puntava all’«autonomia» delle cure nella lotta al Covid, ma poi rimasto praticamente al palo tanto che nessuna azienda farmaceutica italiana o multinazionale finora l’ha sfruttato. È il credito d’imposta del 20% sugli investimenti in ricerca e sviluppo su farmaci e vaccini che è operativo dal 1 giugno del 2021 e sarà valido fino al 2030 ma che in quasi un anno di vita è rimasto solo sulla carta.

Come spesso accade in Italia con le nuove norme il diavolo si nasconde nei dettagli: a bloccare gli investimenti delle imprese sarebbe stato infatti un aggettivo nel primo comma dell’articolo 31 della legge 106/2021 che è stato anche modificato durante la conversione del decreto Sostegni bis, ma che di fatto non ha cambiato nulla: se nel primo testo si parlava di bonus riconosciuto solo per la ricerca sui farmaci e i vaccini «innovativi» il testo definitivo parla più genericamente di ricerca su «nuovi» farmaci e vaccini. Una dizione appunto molto generica che rischia di provocare equivoci e fraintendimenti che per ora hanno allontanato le aziende preoccupate di vedersi chiedere indietro l’agevolazione: Cosa significa infatti esattamente farmaci «nuovi»? La ricerca non è nuova e innovativa di per sé? Interrogativi a cui ora si proverà a rispondere: il ministero dello Sviluppo economico da settimane è in pressing con l’agenzia delle Entrate per arrivare a una soluzione e per questo dovrebbe far partire un tavolo che possa chiarire i punti poco chiari della norma. Sul punto potrebbe arrivare dunque una circolare esplicativa del Fisco o forse anche una modifica legislativa della stessa norma. Nel mirino appunto finirebbe quell’aggettivo “nuovi” che avrebbe finora fermato il ricorso a questo bonus.

Tra l’altro il credito d’imposta - voluto fortemente da Giovanni Tria consulente del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e ora da poco anche presidente della Fondazione Enea Tech e Biomedical - è un’agevolazione robusta erogata nella misura del 20% dei costi sostenuti, con un importo massimo di ben 20 milioni di euro annui per ciascun beneficiario e investimento. Insomma una misura importante su cui il Governo ha puntato per provare a rafforzare la nostra filiera farmaceutica e farla diventare un asset strategico del Paese dopo lo scoppio della pandemia.

Si tratta tra l’altro anche di un contributo ad ampio spettro visto che può essere destinato a tutte le imprese residenti in Italia, comprese quelle che lavorano per le multinazionali. In particolare secondo il decreto Sostegni bis i costi ritenuti ammissibili dal credito d'imposta sono quelli «sostenuti per ricerca fondamentale, ricerca industriale, sviluppo sperimentale e studi di fattibilità necessari per il progetto di ricerca e sviluppo nel corso della sua durata».

Basterà l’atteso chiarimento del Fisco a sbloccare una misura che nel primo anno di vita è stata un flop? A questo punto si spera che la risposta arrivi presto.

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