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La cessione di un farmaco a un prezzo simbolico rischia l’applicazione dell’Iva

La risposta a interpello 182/2023: la congruità del corrispettivo può essere oggetto di valutazione al fine di riqualificare l'operazione alla luce del concreto assetto degli interessi delle parti

di Barbara Rossi ed Eleonora Musiari

L’agenzia delle Entrate con la risposta 182 del 31 gennaio 2023 ha chiarito che la vendita di un nuovo farmaco al prezzo simbolico di 1 euro alle strutture sanitarie, al fine di promuoverne la conoscenza, potrebbe qualificarsi come cessione gratuita ai fini Iva, con conseguente applicazione dell’Iva sul prezzo di acquisto (in base all’articolo 13 del Dpr 633/1972).

Il caso concreto

Nel caso prospettato, ALFA è una società attiva nella produzione e vendita di medicinali e altri preparati farmaceutici e intende commercializzare un nuovo farmaco per il quale è in attesa da parte di Aifa dell’autorizzazione alla riclassificazione del farmaco tra quelli erogabili a carico del Ssn, ai fini della sua rimborsabilità.

Esclusivamente nelle more di tale autorizzazione, fin quando lo stesso farmaco non ottenga la rimborsabilità da parte del Ssn, Alfa chiede conferma all’Agenzia circa la qualificazione ai fini Iva delle cessioni poste in essere.

In particolare, Alfa commercializza il farmaco al prezzo simbolico di 1 euro (ammontare inferiore al prezzo di costo) presso la propria clientela di riferimento (strutture sanitarie pubbliche o private, anche soggette a split payment), al fine di promuovere il prodotto, testandone le funzionalità nel trattamento dei pazienti. Successivamente al ricevimento dell’autorizzazione, il farmaco verrà commercializzato al valore di mercato.

La scelta di vendere il farmaco a un prezzo simbolico è giustificata dal fatto che ove il farmaco venisse venduto al prezzo di mercato, non verrebbe acquistato dalle strutture sanitarie, che preferirebbero optare per farmaci equivalenti meno cari. Pertanto, Alfa procede alla fatturazione del farmaco a 1 euro, oltre Iva al 10% addebitata in rivalsa ai propri clienti, operando contestualmente la detrazione dell’imposta assolta sul prezzo di costo del bene.

Tale fatturazione temporanea sarà oggetto di specifici accordi con i propri clienti. È opportuno precisare che Alfa non intende omaggiare il farmaco ai propri clienti per un fine di liberalità, bensì promuovere la conoscenza e la diffusione dello stesso.

Alfa, in subordine alla conferma del trattamento Iva di cui sopra, chiede all’Agenzia anche una soluzione alternativa. Pertanto, ove tale trattamento non dovesse essere corretto, Alfa chiede conferma circa l’equiparazione dell’offerta del farmaco alla disciplina dei campioni gratuiti con conseguentemente non assoggettamento a Iva della cessione, registrandola nel registro dei campioni gratuiti e detraendo l’Iva assolta a monte sul costo del bene.

I chiarimenti dell’agenzia delle Entrate

L’Agenzia in prima battuta chiarisce che la fattispecie in esame non è riconducibile nell’ambito applicativo della disciplina Iva prevista per le cessioni di ’«campioni gratuiti di modico valore appositamente contrassegnati’» di cui all’articolo 2, comma 3, lettera d), del Dpr 633/1972, nell’assunzione che Alfa non ha etichettato i prodotti come campioni gratuiti e ha seguito l’ordinario canale commerciale di vendita.

Secondo l’Agenzia occorre, quindi, stabilire se tale cessione sia qualificabile come operazione a titolo oneroso ovvero a titolo gratuito. L’Agenzia richiama l’orientamento civilistico espresso dalla Cassazione in base al quale, nella compravendita, il prezzo simbolico potrebbe ritenersi inesistente, con conseguente nullità del contratto per mancanza di un elemento essenziale, quando risulta concordato un prezzo obbiettivamente non serio, o perché privo di valore reale e perciò meramente apparente e simbolico, o perché programmaticamente destinato nella comune intenzione delle parti a non essere pagato (ex multis, Cassazione 9640 del 19 aprile 2013; Cassazione 22567 del 4 novembre 2015).

Diversamente, secondo una più recente giurisprudenza di legittimità, non solo un corrispettivo irrisorio, ma anche simbolico o assente potrebbe giustificare l’attribuzione patrimoniale, al più connotandola come gratuita, laddove dalla sproporzione voluta dalle parti consegua la realizzazione di un interesse giuridico meritevole di tutela (cfr. Corte di cassazione, sezione I, sentenza 4 novembre 2015, n. 22567).

Applicando i principi interpretativi succitati l’Agenzia conclude statuendo che nel caso di specie non è possibile escludere che possa trattarsi di una fattispecie di cessione a titolo gratuito. Dopo tale statuizione l’Agenzia precisa che ai fini di una qualificazione definitiva in tal senso, la stessa dovrebbe investigare più a fondo la causa concreta della dazione, ossia gli interessi perseguiti dalle parti, concludendo che tutte le circostanze riportate nell’interpello potrebbero indurre l’Amministrazione Finanziaria a qualificare la cessione del farmaco al prezzo di 1 euro come operazione sostanzialmente gratuita, con la conseguenza che l’intera operazione dovrebbe essere valutata alla luce della relativa disciplina prevista ai fini Iva.

Quindi con l’applicazione dell’Iva ai sensi dell’articolo 13 del Dpr 633. Tuttavia, l’Agenzia in conclusione apre uno spiraglio valutativo in cui precisa che, sebbene la base imponibile delle cessioni di beni e/o prestazioni di servizi sia ordinariamente costituita dall’ammontare complessivo delle somme dovute al cedente/prestatore secondo le condizioni contrattuali convenute dalle parti e il corrispettivo sul quale calcolare l’imposta sia rimesso alla libera determinazione dei contraenti, non è escluso che la congruità del corrispettivo possa, comunque, formare oggetto di valutazione/indagine in sede di accertamento e costituire un elemento idoneo a condurre a una riqualificazione dell’operazione di cui trattasi alla luce delle caratteristiche dello specifico assetto di interessi.

Considerazioni

Nell’opinione dello scrivente, l’Agenzia non ha debitamente tenuto in considerazione il concetto corrispettivo fornito dalla normativa Iva (nazionale e comunitario), concentrandosi invece sul concetto di corrispettivo definito dalla giurisprudenza civilista nazionale.

Come chiarito dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale (Cgue, sentenza alla causa C-154/80, punto 13; Cgue sentenza alle cause riunite C-249/12 e c-250/12, punto 33; Cgue sentenza alle cause riunite C-621/10 e c-129/11, punto 43, Corte di Cassazione, sez. trib., 5.5.2022, n. 14227), l’articolo 73 della direttiva Iva 2006/112/Ce e l’articolo 13 del Dpr 633/1972 sanciscono il principio secondo cui ai fini Iva la base imponibile è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente/prestatore, secondo le condizioni contrattuali, ed effettivamente percepiti dal fornitore, a nulla rilevando il costo (superiore o inferiore) del bene o del servizio ceduto.

Il corrispettivo sul quale calcolare l’imposta è lasciato alla libera volontà delle parti, e quindi in presenza di un corrispettivo pagato, sia pure inferiore al prezzo di costo, l’Amministrazione fiscale non può, in via generale, contestare la congruità del prezzo e chiedere l’integrazione dell’imposta.

Secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia Ue «la circostanza che un’operazione economica venga svolta ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo è irrilevante ai fini della qualificazione di tale operazione come "negozio a titolo oneroso».

In virtù di tali premesse, bisogna dunque sostenere che l’esistenza di uno scostamento fra il corrispettivo pattuito e il valore di mercato dei beni o servizi è, in via di principio, irrilevante ai fini Iva.

Per completezza, si segnala che in alcune decisioni (Cgue sentenza alle cause riunite C-621/10 e C-129/11, Balkan and Sea Properties e Provadinvest, punti 47 e 48) i giudici comunitari hanno accolto la richiesta dell’agenzia delle Entrate di rideterminare la base imponibile su cui gli operatori economici avevano determinato l’Iva in virtù della circostanza che il prezzo predeterminato dalle parti aveva comportato una ingente perdita di getto erariale. Trattasi dei casi in cui la cessione del bene/servizio era rivolta a un prezzo artificiosamente basso al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali (i.e. e non come nel caso di specie, al fine di promuovere la vendita del prodotto) fra parti che non godevano interamente del diritto alla detrazione.

Diversamente, qualora beni e servizi siano forniti a un prezzo basso o elevato rispetto al costo di produzione fra parti che godono del diritto a detrazione dell’Iva, i giudici comunitari hanno precisato che «è solo a livello del consumatore finale, o nel caso di un soggetto passivo misto che beneficia unicamente del diritto al pro-rata di detrazione, che un prezzo artificialmente basso o elevato può comportare una perdita di gettito fiscale. Pertanto, solo se la persona interessata dall’operazione non ha interamente diritto alla detrazione sussiste un rischio di elusione o di evasione fiscale che gli Stati membri possono prevenire in forza dell’articolo 80, paragrafo 1, di tale direttiva».

In aggiunta, l’Agenzia ha escluso la possibilità alternativa di qualificare i beni ceduti come campioni gratuiti basandosi sulla circostanza che con l’attuale impostazione l’istante commercializza il farmaco secondo i canali ordinari e che il prodotto non è contrassegnato quale "campione gratuito".

Tuttavia, ove si ritenga che il valore sia irrisorio, che la cessione a 1 euro sia effettuata come costo per incrementare le vendite di beni propri, e che i beni siano adeguatamente contrassegnati, da un punto di vista comunitario si potrebbe rientrare nella casistica del campione gratuito (come proposto dall’istante in subordine) piuttosto che nella casistica della cessione gratuita, anche alla luce della sentenza Emi group C-581/08 del 2010, in base alla quale la valutazione applicativa della norma in relazione alla modicità del campione gratuito andrà effettuata caso per caso.

In conclusione, l’Agenzia nell’analisi effettuata si è concentrata su un concetto civilistico della normativa e non sui principi comunitari che regolano l’imposta sul valore aggiunto. In tal senso, dovrebbe essere letta in ottica positiva e di apertura la frase conclusiva in cui l’Agenzia chiarisce che la congruità del corrispettivo (pattuito dalle parti) può essere oggetto di valutazione al fine di riqualificare l’operazione alla luce del concreto assetto degli interessi delle parti, lasciando ampio margine valutativo sul caso di specie.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.

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