I temi di NT+Modulo 24

Mancata risposta del contribuente, flessibilità sulla strategia difensiva

Il tema delle preclusioni da mancata collaborazione del contribuente nelle indagini istruttorie di controlli fiscali non ha trovato ancora compiuta sistemazione nelle pronunce di legittimità

di Massimo Basilavecchia

Il tema, delicatissimo, delle preclusioni conseguenti a mancata collaborazione del contribuente nelle indagini istruttorie nel corso di controlli fiscali non ha ancora trovato una definitiva sistemazione con pronunzie delle sezioni Unite della Corte di cassazione. E, in una certa misura, questo dato non è del tutto negativo, se si conviene sul fatto che la maggiore o minore rigidità nell'interpretazione delle norme è molto influenzata dalle caratteristiche del singolo caso sottoposto ai giudici (se ne trae conferma, leggendo per esteso l’ordinanza della Corte di cassazione cui si fa riferimento nell’ultima parte di questo scritto).

Tuttavia, pur in una varietà di orientamenti non sempre omogenei, si nota, molto più che in altri settori del rapporto fisco-contribuente, una grande cautela della Suprema corte nel riconoscere applicabile la preclusione, la quale, sintetizzando, opera secondo le norme del Dpr 600/1973 quando il contribuente non risponde alle richieste degli uffici o sottrae all'ispezione libri, registri o documenti, dichiarando di non possederli o comunque rifiutando di esibirli. Opera, peraltro, con la conseguenza pesantissima che i dati non forniti spontaneamente non possono essere utilizzati né nelle successive fasi amministrative - ad esempio, in sede di accertamento con adesione o di autotutela - né in sede processuale, salvo una rimessione in termini giustificata da forza maggiore e da richiedere sin dalla notificazione del ricorso.

I punti (relativamente) fermi della giurisprudenza stabiliscono che, per considerare realizzata la preclusione, la richiesta deve essere precisa e individuare un determinato documento da esibire e deve contenere, soprattutto, il monito sulle conseguenze che un mancato riscontro potrà avere in termini appunto di inutilizzabilità successiva di quanto si è omesso di fornire. La preclusione, in ogni caso, lascia possibilità di produzione di documentazione diversa da quella oggetto della richiesta.

Già questa razionalizzazione dei limiti della preclusione esclude che, nei casi di presunzioni legali relative (indagini finanziarie, accertamento sintetico) possa ipotizzarsi l’applicazione della preclusione, poiché le prove contrarie del contribuente non sono oggetto di una richiesta specifica degli uffici (che non le conoscono) e soprattutto perché, nella gran parte dei casi, si tratta di prove documentali delle quali non è ipotizzabile un confezionamento a posteriori, da parte del contribuente (si pensi alla ricostruzione degli emittenti o degli intestatari di assegni bancari). Nella ratio della norma, infatti, soprattutto quando il rifiuto di esibizione avviene nel corso della verifica, è implicito il sospetto che una produzione ritardata sia finalizzata a creare o modificare ex post i documenti richiesti.

Le posizioni della giurisprudenza

Il progressivo affinamento da parte della giurisprudenza prosegue; l’ordinanza n. 16757/2021 della Suprema corte ha individuato diversità di elementi costituitivi e di relativi effetti tra il caso della verifica, che presuppone, al fine della preclusione, un comportamento consapevolmente ostruzionistico del contribuente, e l’omessa risposta a questionari, caso nel quale la semplice inerzia determina l’inutilizzabilità successiva delle informazioni non tempestivamente fornite. La pronuncia, pur apparendo eccessivamente severa rispetto al caso delle richieste/questionari inviati dall’ufficio, per i quali sembra quasi escludere la possibilità di forza maggiore, si basa su un effettivo divario tra l’oggettività della norma relativa a richieste/questionari non riscontrati (articolo 32 del Dpr 600/1973 per le imposte sui redditi, articolo 51 del Dpr 633/1972 per l’Iva) e l’impostazione più soggettiva del rifiuto di esibizione (articolo 33 del Dpr n. 600/1973, articolo 52, comma 5, del Dpr 633/1972), che sottintende un deliberato intendimento di non collaborare all’attività di ricerca nel corso di una verifica presso il contribuente.

L’omessa risposta a questionario

Sul versante dell’omessa risposta a richiesta o questionario, è sopravvenuta di recente l’ordinanza n. 6092 del 24 febbraio 2022, molto articolata.

Le argomentazioni di tale pronuncia sono rilevanti, sia in ordine all’ampiezza delle esimenti, sia in ordine alla tempistica delle difese processuali.

Il caso riguardava una richiesta di informazioni a mezzo questionario, indirizzata al consulente del contribuente, che non aveva ottemperato a quanto richiesto lasciando trascorrere il tempo concesso nella richiesta. La richiesta era anche priva di una precisa indicazione delle conseguenze della mancata risposta.

L’inconsapevolezza del contribuente, rispetto all’atteggiamento omissivo del consulente, è stata qualificata come causa ascrivibile alla forza maggiore, che legittima la rimessione in termini denotando la mancanza di intenti ostruzionistici nel contribuente.

Non vi è un contrasto dichiarato con l’ordinanza del 2021, ma appare chiara la diversa filosofia che ispira i due arresti della Suprema corte; l’ordinanza più recente avverte la necessità di limitare il più possibile le ipotesi di preclusione, ed esclude quelle ipotesi nelle quali l’inerzia non è imputabile al contribuente in modo diretto (sappiamo, però, che in generale, ad esempio sulla omissioni o sui ritardi nella presentazione delle dichiarazioni, le sanzioni amministrative e, a determinate condizioni, anche quelle penali, vengono irrogate al contribuente, ricadendo nella sua responsabilità la negligenza del contribuente; in questo senso aveva deciso la sentenza di appello).

Notevole apertura si registra anche sotto il profilo processuale, perché, rispetto ad una norma che impone la richiesta di rimessione in termini, e dunque l’invocazione della (documentata) forza maggiore, già (e soltanto) in sede di ricorso, l’ordinanza n. 6092 apre invece all’allegazione dell’esimente anche in sede di appello.

Probabilmente, i due profili sono collegati, nel senso che, non essendo ravvisabili gli estremi della omessa risposta intenzionale, mancavano anche i presupposti per la stretta applicazione della norma processuale che impone di allegare nell’atto introduttivo la causa di forza maggiore. Il contribuente si è opposto soltanto in appello all’affermata ricorrenza di un’ipotesi di rifiuto di risposta; trattandosi di mero argomento difensivo, e non di un’eccezione in senso stretto, la Corte di cassazione ha ritenuto che come tale esso non incorre nel divieto di nova finalizzato a comprimere la materia del contendere del giudizio di appello.

In buona sostanza, la scelta della tecnica difensiva appare condizionata dall’effettiva ricorrenza delle condizioni per applicare la presunzione: di fronte ad una richiesta specifica e determinata, che indichi con precisione le conseguenze della mancata risposta, è prudente chiedere la rimessione in termini sin dal ricorso, se vi sono ragioni di forza maggiore, tra le quali può essere ricompresa la negligenza del professionista che sia stato destinatario diretto della richiesta.

Se invece vi sono elementi che, in base alla giurisprudenza della Suprema corte, non consentono di ritenere applicabile la presunzione, nessuna rimessione va richiesta in ricorso ed è possibile, con una mera “difesa” e con produzione di documenti, contestare la preclusione negli scritti difensivi che rispondano all’eccezione in tal senso proposta dall’Amministrazione finanziaria, in ipotesi anche in appello.

Secondo l’ordinanza n. 6092, l’inidoneità dell’invito a determinare la preclusione non deve essere dedotta come motivo di ricorso, essendo tale questione estranea al contenuto dell’atto impositivo di accertamento. La Corte non ha esaminato il caso in cui il contribuente debba impugnare l’irrogazione di sanzione per mancata risposta a questionario: in questa ipotesi, essendo l’inidoneità della richiesta o l’esistenza di impedimenti oggettivi alla risposta il motivo che rende direttamente illegittima la sanzione, è da ritenere che quelle circostanze debbano costituire oggetto del ricorso e debbano essere inserite tra i motivi da collocare a pena di decadenza nell’atto introduttivo ex articolo 18 del Dlgs 546/1992.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Accertamento e riscossione del Gruppo 24 Ore. Leggi gli altri articoli degli autori del Comitato scientifico e scopri i dettagli di Modulo24