Imposte

Casse e polizze sanitarie: il rebus imponibilità

A fare la differenza è chi eroga la prestazione all’assicurato: se il titolare è il lavoratore i contributi sono fringe benefits

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di Diego Paciello

Qual è il trattamento fiscale applicabile ad alcune prestazioni di assistenza sanitaria? Il tema era stato sollevato all’agenzia delle Entrate con un interpello, il 443 del 6 ottobre 2020. Si tratta di quelle prestazioni erogate da una Cassa avente esclusivamente fine assistenziale e che opera negli ambiti di intervento stabiliti con apposito decreto del ministro della Salute.

Nel dettaglio, le prestazioni in questione comprendevano il rimborso delle spese mediche sostenute dal dipendente iscritto alla Cassa e/o dai suoi familiari, una copertura del rischio di non autosufficienza, la Long Term Care (Ltc),che garantiva a tutti gli iscritti una rendita vitalizia in caso di non autosufficienza e, infine, una copertura per spese odontoiatriche. Per garantire la fruizione delle prestazioni di assistenza sanitaria relative alla copertura Ltc, nonché della copertura per le spese odontoiatriche, la Cassa aveva stipulato due distinte polizze assicurative, destinando parte della contribuzione ricevuta al relativo premio assicurativo.

Il contenuto dell’interpello

In considerazione delle caratteristiche del pacchetto sanitario, chi ha presentato l’interpello ha chiesto una conferma circa il rispetto del principio di mutualità e dell’applicabilità ai contributi versati alla Cassa, per ciascun dipendente, dell’esclusione dalla formazione del reddito ex articolo 51, comma 2, lettera a), del Tuir. Tramite la risposta in questione, l’agenzia delle Entrate ha affermato, per la prima volta dall’entrata in vigore della normativa di riferimento, che per ritenere non imponibile l’importo dei premi assicurativi, ai sensi della richiamata disposizione normativa, la Cassa deve risultare sia contraente sia beneficiaria delle polizze.

Secondo l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, qualora i beneficiari delle polizze dovessero essere i lavoratori, i contributi versati alla Cassa non potrebbero qualificarsi come contributi «di assistenza sanitaria» e costituirebbero per il dipendente, conseguentemente, un beneficio aggiuntivo alla retribuzione (cosiddetto fringe benefit).

Le conseguenze

In tale scenario, l’importo dei contributi in questione si configurerebbe quale componente positivo del reddito di lavoro dipendente, imponibile ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del Tuir, ferma restando l’applicabilità del successivo comma 3, grazie al quale l’importo dei contributi potrebbe non concorrere alla formazione del reddito di lavoro dipendente se, sommato al valore degli altri eventuali fringe benefits concessi al dipendente nel medesimo periodo d’imposta, dovesse essere inferiore a 258,23 euro (limite elevato a 516,46 euro per il 2021).

Inoltre, nella risposta in questione, l’Agenzia non riconosce l’esclusione dalla base imponibile anche della quota associativa, in quanto non ritenuta direttamente inerente agli obiettivi perseguiti dalla Cassa sanitaria e, di conseguenza, non direttamente finalizzata al finanziamento delle prestazioni sanitarie. Poiché nella maggior parte dei casi le polizze assicurative hanno come contraente il lavoratore/iscritto, queste interpretazioni hanno scosso il mercato delle Casse sanitarie, così come quello dei maggiori player del mercato bancario/assicurativo.

Al fine di ottenere chiarimenti e poter impostare correttamente le coperture future, le associazioni di categoria hanno deciso di sottoporre all’Agenzia la richiesta di una consulenza giuridica, che dovrebbe ricevere riscontro quanto prima.

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