Controlli e liti

Il Fisco continua a contestare il raddoppio dei termini per l’Irap

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Continua la linea dura dell’agenzia delle Entrate sul raddoppio dei termini di accertamento per le violazioni Irap nonostante ormai da qualche anno la Cassazione ritenga non legittimi i termini più lunghi per le rettifiche dell’imposta regionale sulle attività produttive.

Le conseguenze sono veramente singolari: da un lato i contribuenti devono sopportare in proprio le spese legali per vedersi annullata la pretesa, dall’altro l’Agenzia viene sempre più frequentemente condannata al pagamento delle spese legali che, alla fine ricadono sulla collettività. Tutto ciò perché, a detta dei vari uffici, a livello centrale non viene assunta alcuna direttiva per uniformare il comportamento delle strutture periferiche al pacifico orientamento della Suprema corte. La circostanza è ancora più singolare ove si pensi che anche la Guardia di finanza nella circolare 1/2018 ha chiaramente escluso il raddoppio all’Irap, poiché la proroga opera solo per i reati in materia di imposte sui redditi e Iva e non per le fattispecie tributarie diverse da quelle contemplate dal decreto 74/2000.

Le norme

Le fattispecie dei reati tributari previste dal Dlgs 74/2000 riguardano solo i casi delle imposte sui redditi e sull’Iva, con la conseguenza che fin dall’introduzione dell’istituto del raddoppio si è posto il dubbio sulla possibile estensione all’Irap. La stessa amministrazione finanziaria a livello centrale ha da tempo precisato (circolare 154/E del 2000) che sono escluse dalla fattispecie criminose del Dlgs 74/2000 le dichiarazioni ai fini Irap, con la precisazione che anche nel caso di dichiarazione presentata in forma unificata acquistano rilievo ai fini penali solo le violazioni in materia di imposte dirette e Iva.

La normativa di riferimento in materia di Irap (articolo 25, Dlgs 446/1997) rinvia per le attività di accertamento alle disposizioni sulle imposte sui redditi, senza alcuna espressa esclusione all’articolo 43 Dpr 600/1973. Questa norma, infatti, nel disciplinare i termini di decadenza del potere di accertamento (quindi validi anche per l’Irap) fino al periodo d’imposta 2015, prevedeva che ove fosse stata contestata una violazione che comportasse l’obbligo di denuncia per uno dei reati tributari (Dlgs 74/2000), i termini erano raddoppiati.

La giurisprudenza

Inizialmente qualche isolata pronuncia di merito, in virtù del mero rinvio effettuato dalla norma Irap ai criteri di accertamento delle imposte dirette, aveva ritenuto corretto l’allungamento dei termini (in tal senso Ctp di Massa Carrara 74/1/11). Era pertanto inconferente che la contestata violazione ai fini Irap non avesse alcun rilievo penale, poiché era dato rilievo solo ai termini previsti per le imposte dirette (Ctp Bergamo 137/13 e Ctr Milano 2573/2015).

Successivamente, da almeno due anni, la giurisprudenza della Suprema Corte ha escluso il raddoppio per le violazioni Irap poiché non possono avere rilevanza penale (Cassazione 4775/2016, 20435/2017, 1425/2018, 28713/2018, 26326/2018, 25975/2018, 24322/2018). Secondo i giudici il maggior termine per l’accertamento deve avere come necessario presupposto la commissione di un reato, elemento mai configurabile nel caso dell’Irap. In sostanza si tratta di un’imposta per la quale non sono previste sanzioni penali ed è evidente – secondo la Cassazione – che non possa operare la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento.

Peraltro nella sentenza 1425/2018, la Cassazione ha anche escluso una diversa interpretazione, perché di fatto sarebbe estensiva e comporterebbe una violazione del divieto di analogia in materia penale tutelato dalla Costituzione (articolo 25, comma 2).

L’accertamento delle violazioni Irap, poiché non costituiscono reato tributario, non può mai beneficiare del raddoppio dei termini decadenziali di rettifica

Ordinanze 10483, 28713, 26326, 25975, 24322, 4758 e 1425 del 2018; 20435/2017; sentenza 4775/2016

La situazione

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