Controlli e liti

La firma falsa sulla ricevuta si contesta con querela

Il contribuente che contestare la sottoscrizione sull’avviso di ricevimento è obbligato a proporre querela di falso

di Rosanna Acierno

Nel caso di notifica di cartella esattoriale (o di altro atto impositivo) a mezzo del servizio postale, il contribuente che voglia contestare il fatto che la sottoscrizione apposta sull’avviso di ricevimento non sia a lui riconducibile è obbligato a proporre querela di falso dinanzi al Tribunale, stante la natura di atto pubblico delle affermazioni riportate nella ricevuta. Sono queste le principali conclusioni cui è giunta la Corte di appello di Milano, prima sezione civile, con la sentenza n. 1662/2020 (presidente e relatore Raineri).

I giudici hanno dovuto pronunciarsi su una controversia sorta a seguito della asserita notifica a mezzo raccomandata postale di una cartella a una contribuente, che invece sosteneva di non averla mai ricevuta. In particolare la contribuente, contestualmente all’impugnazione di un estratto di ruolo dinanzi al giudice di pace per chiederne la nullità per omessa notifica della cartella presupposta, citava dinanzi al Tribunale di Milano la società Poste italiane Spa (oltre ad agenzia Entrate Riscossione e al Comune di Milano in qualità di ente impositore), chiedendo che venisse accertata e dichiarata la falsità dell’avviso di ricevimento della cartella, ritenendo che la sottoscrizione (peraltro illeggibile) apposta su di esso non fosse a lei riconducibile.

In attesa della pronuncia sulla querela di falso, il giudice di pace sospendeva il giudizio.

Pronunciandosi sull’incidente di falso, il Tribunale di Milano, con sentenza 2666/2018, dichiarava inammissibile la querela in quanto, a suo avviso, l’eventuale firma apposta da un soggetto diverso dal destinatario sarebbe soggetta all’ordinario regime della prova contraria.

La sentenza veniva impugnata dinanzi alla Corte di appello, facendo rilevare che:

1 l’avviso di ricevimento (come pure la relata di notifica), in quanto proveniente da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, costituisce un atto pubblico;

2 le attestazioni in esso contenute riguardanti l’attività svolta dall’ufficiale notificatore, quali il ricevimento delle dichiarazioni resegli, limitatamente al loro contenuto estrinseco, fanno piena prova fino a querela di falso, ex articolo 221 del Codice di procedura civile.

Nell’accogliere le doglianze sollevate dalla contribuente appellante, i giudici della Corte di appello, conformemente a quanto stabilito dalla Cassazione (da ultimo con sentenza n. 4556/2020), hanno precisato che laddove l’atto, come avvenuto nel caso di specie, sia stato consegnato all’indirizzo del destinatario ad una persona che abbia sottoscritto l’avviso di ricevimento, con grafia illeggibile, nello spazio relativo alla «firma del destinatario o di persona delegata» e non risulti che il piego sia stato consegnato dall’agente postale a persona diversa dal destinatario, la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario, fino a querela di falso.

In base a questi princìpi, i giudici d’appello hanno ritenuto non solo dovuta (e, dunque pienamente ammissibile in giudizio) la querela di falso proposta, ma hanno anche dichiarato falso l’avviso di ricevimento, avendo preso atto delle conclusioni del Ctu, il quale, appositamente chiamato, ha affermato la non riconducibilità in capo alla contribuente della firma apposta su di esso.

Da ultimo, la Corte di appello non ha mancato di condannare le parti appellate, in via solidale, al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio, anche alla luce della stridente contraddittorietà delle loro tesi difensive che, dinanzi al giudice di pace, allorché la contribuente aveva avanzato una mera istanza di disconoscimento della sottoscrizione, avevano eccepito la natura fidefacente dell’avviso di ricevimento, osservando come fosse necessaria la proposizione della querela di falso per inficiarne l’efficacia probatoria privilegiata, per poi sostenere, nel giudizio di falso celebratosi dinanzi al tribunale e poi dinanzi alla Corte di appello, l’inammissibilità di tale rimedio.

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