Controlli e liti

Rottamazione, addio a 9,6 miliardi: incognita gettito sulla pace fiscale

di Gianni Trovati

Sul cantiere della pace fiscale piombano 9,6 miliardi di euro. Sono quelli che secondo la Corte dei conti, che ieri ha reso il giudizio di parifica sul bilancio dello Stato, mancano alla raccolta delle due «rottamazioni» delle cartelle attivate dai governi Renzi e Gentiloni. Per le prove di definizione super-agevolata si tratta di un macigno o di un’opportunità?

Prima di dare giudizi, è utile capire da dove nascono i numeri elaborati dai giudici dei conti. A fare domanda di rottamazione sono stati i titolari di debiti per 31,27 miliardi. La rottamazione permette di fare pace con il fisco senza pagare sanzioni e interessi, per cui il conto si sarebbe dovuto chiudere con 17,8 miliardi. Ma le riscossioni effettive, tra rate già incassate e piani ancora aperti, si fermeranno a 8,2 miliardi, cioè al 46% di quello che la Corte definisce «introito atteso». Il resto, 9,6 miliardi, non arriverà. Come mai?

«Per una parte di queste posizioni - spiega nella sua relazione Ermanno Granelli, il presidente di coordinamento delle sezioni riunite in sede di controllo - si può affermare che l’istanza di rottamazione ha avuto essenzialmente finalità dilatorie». In pratica, il debitore avrebbe fatto domanda, e magari anche pagato la prima rata per poi troncare di nuovo i propri rapporti con il fisco, guadagnando tempo. Non bisogna dimenticare poi che la rottamazione, anche per esigenze di finanza pubblica, si è tradotta in uno scambio: via sanzioni e interessi, ma obbligo di pagare tutto in cinque rate, quindi in tempi molto più ristretti della rateazione ordinaria (che però non sconta more e multe). Una parte di contribuenti potrebbe quindi aver rinunciato subito dopo la domanda, oppure essere “caduta” dopo le prime rate per mancanza di liquidità, rientrando negli obblighi normali. Dal punto di vista della finanza pubblica, la prima rottamazione ha superato gli obiettivi (per cui non c’è un “buco” nei conti), mentre per la seconda il contatore si fermerà con l’ultima rata di febbraio 2019.

E qui arriva la «pace fiscale», cioè la definizione super-agevolata che secondo la Lega dovrebbe permettere di cancellare i debiti pagandone una quota (dal 6 al 25% a seconda dei casi secondo il progetto originario). Per i suoi fautori, i 9,6 miliardi sono la prova del nove del mancato funzionamento della rottamazione: ma d’altro canto l’annuncio di un’offerta più generosa potrebbe mettere a rischio gli incassi di rottamazioni e rateazioni in corso.

Il tutto in un quadro in cui secondo la Corte la lotta all’evasione «non ha dato i risultati sperati», «le entrate da accertamento e controllo» sono in flessione del 10,6%, e nel quale l’eccesso di debito, come avverte il presidente della Corte Angelo Buscema, «pesa sulle potenzialità di crescita del Paese». In uno scenario del genere i conti pubblici restano «fragili», e hanno bisogno di una spinta agli investimenti (prima urgenza rilanciata anche dal ministro dell’Economia Giovanni Tria) e di «scelte molto caute» sulle misure di politica economica. Per esempio sul reddito di cittadinanza: è «un diritto importante» per le fasce deboli, lo promuove la Corte, a patto che sul solco del Rei sia «scevro da inutile e deleterio assistenzialismo» e che il Parlamento risolva «con saggezza» le incognite sulla copertura.

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