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Vecchi fabbricati rimessi a nuovo: la vendita post trasformazione non è esente da Iva

Per la Corte Ue, anche se in uno Stato membro manca la definizione per applicare il criterio della prima occupazione, non si può sostenere che ciò legittimi una cessione esente da imposta

di Giorgio Emanuele Degani

Negli ordinamenti nazionali la mancanza di una definizione vincolante delle modalità di applicazione del criterio della prima occupazione alle trasformazioni di edifici non legittima l’esenzione dall’Iva, laddove l’interpretazione della disciplina nazionale in conformità con il diritto unionale conduca ad escluderla.

Lo ha affermato la Corte di Giustizia europea, con la sentenza del 9 marzo 2023, resa nella causa C-239/22. I giudici si sono pronunciati circa l’ambito applicativo del criterio della prima occupazione, secondo cui la vendita dei vecchi fabbricati non è assoggettata a Iva nella normativa unionale, mentre la vendita di quelli nuovi è imponibile, nel caso in cui un immobile abbia subito trasformazioni tali da acquisire le caratteristiche di un fabbricato nuovo.

Il caso delle società belghe

Due società di diritto belga avevano concluso un contratto di collaborazione: una società proprietaria di un terreno su cui era stato eretto un precedente istituto scolastico metteva a disposizione tale spazio alla seconda società, che assumeva l’incarico di trasformare la scuola in appartamenti e in uffici, e di procedere alla vendita degli immobili.

Questa vendita si inseriva nell’ambito di una costruzione giuridica composta da due contratti distinti stipulati con gli acquirenti: il primo riguardava la compravendita con la prima società di una parte del vecchio fabbricato scolastico e del terreno su cui era eretto; il secondo, che veniva concluso lo stesso giorno con la seconda società, aveva invece ad oggetto un contratto d’opera per i lavori di ristrutturazione.

Secondo l’amministrazione tributaria belga si trattava di un’operazione artificiosamente scissa al fine di ottenere un indebito vantaggio fiscale: le operazioni sarebbero in realtà un’unica di cessione di appartamenti nuovi soggetta a Iva all’aliquota del 21%, e non la vendita di un vecchio fabbricato e del terreno su cui è eretto, seguita da una ristrutturazione di tale fabbricato, soggetta all’aliquota ridotta del 6 per cento.

A seguito dei giudizi di merito, la Corte di cassazione belga ha rinviato la causa alla Corte Ue, chiedendo se – in presenza di una normativa come quella belga in cui lo Stato membro non ha determinato le modalità di applicazione del criterio della prima occupazione alla trasformazione di edifici – debba rimanere esente dall’Iva la cessione post trasformazione di un fabbricato che, anteriormente alla stessa trasformazione, è stato oggetto di una prima occupazione.

La risposta della Corte

Secondo i giudici unionali, la nozione di trasformazione di edifici comprende tutti quegli interventi in cui il fabbricato subisca modifiche sostanziali intese a mutarne l’uso o a cambiare in misura considerevole le condizioni di occupazione (Corte Ue, causa C-308/16).

Tuttavia, gli Stati membri possono avvalersi della facoltà prevista dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/112/Ce, introducendo, ad esempio, un criterio quantitativo secondo cui i costi di una simile trasformazione devono essere pari a una determinata percentuale del valore iniziale del fabbricato in oggetto per comportare l’assoggettamento all’Iva.

Se un legislatore nazionale non si è avvalso di tale facoltà, non si può comunque sostenere che la mancanza negli ordinamenti nazionali di una definizione vincolante delle modalità di applicazione del criterio della prima occupazione alle trasformazioni di edifici legittimi l’esenzione dall’Iva, e ciò laddove l’interpretazione della disciplina nazionale in conformità con il diritto unionale conduca ad escluderla.