Imposte

I rifiuti avviati al recupero obbligano a tagliare la quota variabile Tari

Secondo la Cassazione la riduzione non può essere disattesa dai Comuni

di Luigi Lovecchio

La riduzione della quota variabile di Tari, prevista in caso di avvio al recupero dei rifiuti, è obbligatoria e non può essere disattesa dal regolamento comunale. Peraltro, in vigenza dell’originaria formulazione di legge (articolo 1, comma 649, legge 147/2013), era agevolata qualunque attività di recupero, e non il solo riciclo dei rifiuti.

Con la sentenza 5775/2023, depositata il 24 febbraio, la Cassazione prosegue nella sua attività d’interpretazione della disciplina della Tari. Solo per citare gli ultimi interventi in termini, dopo la sentenza 5433, la quale ha chiarito che l’onere della prova, in caso di riduzione per mancato svolgimento del servizio, è del contribuente (si veda l’articolo Dal contribuente la prova del mancato servizio per lo sconto sulla Tari), si è segnalata l’ordinanza 5578 (si veda l’articolo Aree produttrici di rifiuti speciali soggette alla parte fissa della Tari) favorevole all’applicazione della quota fissa di Tari sulle superfici produttive di rifiuti speciali.

Nella pronuncia attuale si è affrontato il diverso caso della riduzione della parte variabile di Tari per avvio al recupero dei rifiuti urbani da parte degli operatori economici. È in particolare disposto che se l’impresa si rivolge a soggetti abilitati per avviare al recupero i propri rifiuti urbani, la stessa ha diritto a un abbattimento della quota variabile proporzionale alle quantità conferite a terzi. In questo modo, infatti, l’utente “pesa” meno sul servizio pubblico. Sul punto, la Cassazione ha osservato come la disciplina di legge prevedesse inizialmente la promozione delle attività di recupero e che solo dal maggio 2014 la formulazione fosse stata modificata, facendo riferimento al riciclo. Ricorda al riguardo la Corte che il riciclo si traduce in una specifica tipologia di operazioni di recupero, consistente nell’ottenere prodotti o altri materiali attraverso la lavorazione dei rifiuti. In sostanza, il recupero rappresenta una categoria più ampia del riciclo.

Nella vicenda all’esame della Corte, tuttavia, occorreva applicare la versione iniziale della normativa Tari, con l’effetto che, poiché l’impresa aveva dimostrato l’avvio al recupero (seppure non al riciclo), alla stessa spettava la riduzione della parte variabile di tariffa. Con l’occasione, la Cassazione ha altresì rilevato che tale riduzione è obbligatoria per legge e non può essere disattesa dal regolamento comunale. Si è pertanto dell’avviso che ciò debba valere anche nei riguardi dei regolamenti che, soprattutto in passato, hanno stabilito dei limiti massimi all’abbattimento della parte variabile, a prescindere dalle quantità recuperate. La legge è infatti chiara nel porre un rapporto di stretta proporzionalità tra rifiuti recuperati e sconto tariffario. Si evidenzia, da ultimo, che dal 2021, trova applicazione la previsione dell’articolo 238 del Dlgs 152/2006, che è tornato ad agevolare tutte le attività di recupero.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©