Accertamento, il giudice di appello non può limitarsi a una motivazione apparente
È legittimo un accertamento analitico-induttivo in presenza di una costante antieconomicità aziendale ma il giudice tributario, chiamato a valutare le allegazioni difensive e le prove documentali fornite della società contribuente, non può limitarsi ad affermare che «le giustificazioni addotte … non sono tali da superare quanto affermato dall'Agenzia». Lo ha precisato la Cassazione nell'ordinanza n. 20431 del 25 agosto.
I fatti. La Commissione tributaria dell'Abruzzo ha accolto l'appello dell'agenzia delle Entrate, concernente il corretto utilizzo, nei confronti di una srl, degli strumenti accertativi ex art.39, c.1, lett.d),Dpr n.600/73 ed ex artt.54 e 55, Dpr n.633/72 e il conseguente recupero di maggiori Ires e Iva 2008. In particolare, il giudice di appello ha evidenziato l'antiecomicità aziendale costante, rilevando inoltre l'inidoneità delle contro allegazioni della società ad inficiare il supporto fattuale/argomentativo dell'avviso di accertamento impugnato. La contribuente ha proposto ricorso per cassazione e la Corte ne ha accolto il motivo relativo al vizio motivazionale della pronuncia impugnata.
L'ordinanza. I giudici di piazza Cavour hanno ribadito la legittima operatività del criterio dell' “antieconomicità aziendale” sia nel settore delle imposte dirette (n. 20442/05) che in quello dell'Iva (n.26036/15 e n.18232/16). La Corte, infatti, ha affermato che, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l'antieconomicità del comportamento del contribuente, i ricavi esposti possono essere ritenuti falsi in base alla loro sproporzione (per difetto rispetto ai costi), e possono essere ricostruiti nella loro effettività con metodo analitico-induttivo, sulla base di presunzioni semplici (purchè gravi, precise e concordanti), utilizzando le incongruenze tra i dati dichiarati dal contribuente e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta. Nella fattispecie esaminata, prima la Corte ha rilevato che l'atto impositivo, correttamente, si basava sulla persistente condotta “antieconomica” aziendale, scaricando sulla società l'onere di dare adeguate giustificazioni di tale anomalia gestionale e, quindi, della correttezza del “dichiarato fiscale”. Poi ha concluso, con riferimento alle allegazioni e alle controprove fornite, che il giudice di appello non poteva limitarsi ad una motivazione apparente, ben al di sotto del “minimo costituzionale” (SS.UU., n.8053/14 e n.22232/16).
L’ordinanza n.20431/2017 della Cassazione