Accertamento sprint se la società è fallita
Se la società è fallita, sussistono automaticamente le ragioni di urgenza che legittimano l’emissione di avviso di accertamento prima dei 60 giorni dalla chiusura della verifica. A fornire questo rigoroso orientamento è la Corte di cassazione con l’ordinanza 3294 depositata ieri.
La pronuncia trae origine, in sintesi, dal ricorso dell’Agenzia avverso la sentenza della Commissione regionale che aveva accolto l’appello della curatela di una società fallita che lamentava la nullità dell’atto impositivo emesso prima dei sessanta giorni, senza l’indicazione delle ragioni di urgenza alla base di tale scelta.
Secondo i giudici di legittimità, poiché la società era già fallita all’inizio della verifica e l’invito a produrre documenti era stato già rivolto al curatore, non vi era nessuna necessità di attendere la decorrenza del termine dilatorio di sessanta giorni, a prescindere dalla motivazione dell’urgenza della notificazione dell’atto che, in queste ipotesi, è addirittura insita e deriva dall’accertata insolvenza della contribuente.
Al riguardo, la sentenza ricorda l’orientamento giurisprudenziale in base al quale la dichiarazione del fallimento del contribuente sottoposto a verifica giustifica l’emissione dell’accertamento senza l’osservanza dei sessanta giorni. Questo, per due ragioni. Da un lato, l’urgenza correlata alla necessità dell’erario di intervenire nella procedura concorsuale senza che rilevi la possibilità di una insinuazione tempestiva al passivo, poiché questo intervento può esser funzionale a proporre opposizioni rispetto alle posizioni di altri creditori. Dall’altro, perché il contribuente fallito perde la capacità di gestire il proprio patrimonio, sicché il termine per le osservazioni risulta incompatibile con l’attività del curatore, svolta sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori.
La pronuncia è molto rigorosa e, in verità, sembra non tener conto del costante orientamento delle Sezioni unite, in base al quale i motivi di urgenza devono essere enunciati nell’atto e valutati dal giudice di merito. Infine, non si comprende per quale ragione il curatore non debba avere il diritto di svolgere un contraddittorio preventivo per la società che rappresenta.
Cassazione, sentenza 3294/2019