Accertamento valido anche con accesso domiciliare non autorizzato
La documentazione, sequestrata in una perquisizione domiciliare, è pienamente utilizzabile per la rettifica
La documentazione, sequestrata nel corso di una perquisizione domiciliare eseguita in flagranza di reato, trasmessa all’Amministrazione finanziaria su autorizzazione del Pubblico ministero, è pienamente utilizzabile in sede di accertamento fiscale, non essendo necessaria la diversa autorizzazione del Pm per l’accesso domiciliare ai fini fiscali. Lo ho stabilito la Cassazione con la sentenza 7293/2020.
Secondo il consolidato orientamento di legittimità, non esiste nell’ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, sicché l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso; tuttavia, l’utilizzazione a fini fiscali di dati e documenti acquisiti dalla Guardia di finanza operante quale polizia giudiziaria è subordinata al rispetto delle disposizioni dettate dalle norme tributarie (nella specie, dell’articolo 33 del Dpr 600/1973 e degli articoli 52 e 63 del Dpr 633/1972), fatti salvi, in ogni caso, i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico, come ad esempio la necessità di preventiva autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prevista dalle citate disposizioni tributarie, per procedere a determinate attività, quali l’accesso presso l’abitazione privata del contribuente (ex pluris, Cassazione 673/2019, 13711/2018).
In effetti, in base all’articolo 52 del Dpr 633/1972, richiamato dal comma 1 dell’articolo 33 del Dpr 600/1973, gli accessi domiciliari, presso l’abitazione del contribuente che non sia anche il luogo destinato all’esercizio della sua attività, devono essere preventivamente autorizzati dal Pm, e la mancanza di tale autorizzazione comporta la nullità dell’avviso di accertamento che si fondi sulla quella documentazione irritualmente acquisita nel corso dell’accesso domiciliare (cfr. Cassazione 8547/2016), mentre nessuna conseguenza si verifica per quella eventuale parte dell’atto impositivo che non si basi su tale documentazione (cfr. Cassazione 13319/2013, 23595/2011).
Nel caso oggetto della sentenza commentata, i militari della GdF avevano effettuato una perquisizione domiciliare sprovvisti dall’autorizzazione richiesta dall’articolo 52, giacché tale perquisizione si era resa necessaria in flagranza di reato: infatti, in base all’articolo 352 del Codice di procedura penale, nella flagranza del reato, gli ufficiali di polizia giudiziaria procedono a perquisizione personale o locale quando hanno fondato motivo di ritenere che si trovino occultate cose o tracce pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse; il Pm poi aveva autorizzato la trasmissione degli atti al Fisco in base all’articolo 33, comma 3, del Dpr 600/1973.
La Cassazione ha stabilito che una simile fattispecie, in quanto governata dall’articolo 352 del Codice di procedura penale, non può andare confusa con quella diversa dell’accesso fiscale domiciliare che deve essere preventivamente autorizzato dall’articolo 52 del Dpr 633/1972; per cui deve concludersi nel senso della legittimità della autorizzazione del Pubblico ministero alla trasmissione di documentazione lecitamente sequestrata nel corso di una perquisizione domiciliare compiuta in flagranza di reato.