Acquisto di azioni proprie rivalutate in precedenza non è abuso del diritto
Per la Cgt Udine 32/2/2023 non c’è elusione. Alla Spa acquirente veniva contestata la mancata ritenuta ai soci «recedenti»
Non costituisce ipotesi di abuso del diritto l’acquisto di azioni proprie precedentemente rivalutate dagli azionisti cedenti. Acquisto di azioni proprie che non può essere riqualificato in recesso. Così si è espressa la Cgt di Udine con sentenza n. 32/2/2023 depositata il 6 marzo scorso (presidente Zoso, relatore Fabbro).
La vicenda nasce da un atto di accertamento nei confronti di una Spa, alla quale veniva contestata l’omessa effettuazione della ritenuta sulle somme liquidate «ai soci recedenti». In realtà, come ha stabilito la Cgt di Udine, non si era realizzato alcun recesso, ma due azioniste di minoranza, in seguito ad alcuni dissidi all’interno della compagine sociale di tipo familiare, avevano ceduto le loro azioni alla società, provvedendo precedente al loro affrancamento. Successivamente (circa un anno dopo) la Spa aveva deliberato l’annullamento delle azioni acquistate, mediante riduzione delle riserve disponibili, mantenendo inalterato il valore nominale del capitale sociale.
Dalla pronuncia emerge che lo statuto della società non consentiva il recesso, se non dopo il 31 dicembre 2020 (l’acquisto di azione proprie è avvenuto nel 2017). In pratica, è quello che si scrive da tempo: «Il recesso è una cosa seria», e non può realizzarsi per mera volontà dell’Agenzia. Il recesso può ricorrere esclusivamente nelle ipotesi espressamente tipizzate dal legislatore (articolo 2437 del Codice civile) ovvero nelle fattispecie statutarie ulteriori sempre disciplinate dallo stesso articolo 2437 (quarto comma). Quindi, l’Agenzia non può pretendere di considerare recesso ciò che giuridicamente recesso non è.
Il tutto nasce dall’equivoco che attraverso l’elusione si realizzi un abuso delle forme giuridiche finalizzato a sottrarre un’operazione al suo regime naturale. Nell’elusione, invece, vengono aggirati i principi dell’ordinamento, lo spirito delle leggi, non le forme giuridiche. L’ufficio, quindi, non può provvedere a sostituire una forma giuridica legittima con un’altra forma semplicemente perché quella posta in essere dal contribuente risulta fiscalmente meno onerosa. Se ritiene di sostituire le forme giuridiche utilizzate con altre (più onerose fiscalmente), vuol dire che il contribuente ha usato fenomeni finzionistici e ingannatori, i quali rientrano nell’evasione. In questo caso l’ufficio ha i «mezzi» – anche attraverso presunzioni (semplici) gravi, precise e concordanti - di fare prevalere la realtà effettiva. Ma non attraverso la norma sull’abuso del diritto, posto che nell’abuso le forme giuridiche risultano del tutto legittime: è solo il vantaggio fiscale che risulta indebito.
In definitiva, la sentenza conferma che nell’abuso del diritto non è contemplata la riqualificazione delle operazioni. Questo perché le operazioni compiute sono (nell’abuso) tutte perfettamente valide ed efficaci (sia tra le parti che nei confronti dei terzi): solo il vantaggio fiscale conseguito risulta illegittimo.