Controlli e liti

Affitti commerciali, canoni tassati senza avviso della risoluzione

La Ctr Lombardia: nessuna prova del versamento all’ufficio del registro

di Massimo Romeo

Per le locazioni commerciali sono comunque imponibili i canoni maturati e non percepiti se l’interessato, anche prima della risoluzione dichiarata giudizialmente, non dimostri che abbia dato comunicazione all’affittuario della volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa né prodotto il versamento previsto per la comunicazione dell’avvenuta risoluzione che avrebbe dovuta essere effettuata all’ufficio del Registro. Così si pronuncia la Ctr per la Lombardia nella sentenza 1 del 4 gennaio 2022.

L’agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento a carico di una persona fisica determinando per l’anno 2013 maggiori redditi fondiari rispetto a quelli dichiarati con il modello 730 dello stesso anno. Tale ripresa fiscale, relativa al reddito derivante dal contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo, muoveva dalla considerazione che il contratto doveva ritenersi risolto solo nel dicembre del 2013, ossia alla data di rilascio fissata dal giudice designato del Tribunale nell’ambito della procedura di convalida di sfratto e intimazione di rilascio per morosità del conduttore. In sede di ricorso, il contribuente deduceva l’erroneo riferimento da parte dell’Ufficio all’articolo 26, comma I, del Tuir, atteso che nel caso in esame, in cui il contratto di locazione era riferito ad uso diverso dall’abitativo, il contratto doveva ritenersi risolto all’atto dell’inadempimento nel pagamento del canone di locazione, essendo stata pattuita clausola risolutiva espressa con riferimento alla prestazione del pagamento: «l’inadempienza da parte del conduttore di uno dei patti contenuti in questo contratto produrrà ipso jure la sua risoluzione». Si costituiva l’Agenzia evidenziando come il contribuente avesse agito in conseguenza dell’ottenuto sfratto per morosità, procedimento al quale comunemente si annette qualificazione giuridica mista, diretta sia alla risoluzione del contratto (in funzione costitutiva) che al rilascio del bene, da cui discendeva che solo per il periodo successivo a tale data si poteva fondatamente discorrere di intassabilità, quanto all’immobile adibito a uso commerciale, del reddito parametrato al canone locativo.

I giudici di primo grado accoglievano il ricorso considerando dirimente il fatto che l’inadempimento al pagamento dei canoni di locazione, costituente causa della risoluzione, risultava accertato tramite il procedimento di convalida di sfratto che attestava la data certa dell’inadempimento contrattuale. Tenuto conto di tale dato accertato a mezzo provvedimento giurisdizionale, doveva ritenersi provata l’intervenuta risoluzione del contratto dal febbraio del 2013 (e non dicembre 2013), momento a partire dal quale non poteva più procedersi a tassazione del canone di locazione, tornandosi alla regola generale della rendita fondiaria. La Ctp osservava come sia noto che l’azione di risoluzione del contratto ex articolo 1456 del Codice civile tende ad una pronuncia di mero accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto a seguito dell’inadempimento di una delle parti previsto come determinante per la sorte del rapporto, in conseguenza dell’esplicita dichiarazione dell’altra parte di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, differendo tale azione da quella ordinaria di risoluzione per inadempimento per colpa ex articolo 1453 del Codice civile, che h natura costitutiva (cfr Cassazione, sentenza 9488/2013). Si doveva, pertanto, escludere la possibilità di sottoporre a tassazione i canoni non percepiti successivi al febbraio del 2013.

La riforma della sentenza

I giudici d’appello rammentano che a norma dell’articolo 26, comma 1 , del Tuir, i redditi fondiari concorrono a formare il reddito imponibile «indipendentemente dalla percezione» da parte del soggetto a ciò legittimato. A tale regola si fa in parte eccezione per i redditi da locazione ad uso abitativo (nel senso che per questi è previsto un credito di imposta per i canoni maturati e non percepiti come da accertamento intervenuto nell’ambito di un procedimento di convalida di sfratto per morosità), ma si tratta di un caso diverso da quello esaminato in quanto la locazione oggetto dell’azione accertativa era di natura commerciale.

Il collegio ricorda la pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 362/2000) secondo cui la regola prevista per le locazioni commerciali va applicata in modo non irragionevole, nel senso che essa «dovrà considerarsi operativa solo fino a quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico». I giudici ambrosiani avallano la linea interpretativa seguita dall’Amministrazione finanziaria laddove ritiene non imponibili i canoni maturati e non percepiti, anche di locazioni commerciali, laddove sia comunque fornita prova dell’effettiva risoluzione del contratto anche prima della risoluzione dichiarata giudizialmente. Nel caso di specie, chiosano gli interpreti, tale prova non risultava essere stata fornita dato che non era stato dimostrato dall’interessato che egli avesse dato comunicazione all’affittuario della volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa che pure era effettivamente inserita nel contratto medesimo, né risultava prodotto il versamento previsto per la comunicazione dell’avvenuta risoluzione che avrebbe dovuto essere effettuata all’Ufficio del Registro. In siffatto contesto è apparso ai giudici legittimo che l’agenzia delle Entrate, in sede di emissione dell’atto impugnato, avesse fatto riferimento alla data del verbale del rilascio ordinato in sede giudiziale, computando anche i canoni maturati fino a quella data, pur in assenza della loro effettiva percezione.

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