Affrancamento quote Oicr con due dubbi sui valori
L’opzione consentirà di assoggettare alla sostitutiva del 14% i plusvalori latenti rilevati al 31 dicembre 2022. Ma resta da chiarire se rientra il carried interest e quale rendiconto va considerato
Nel disegno di legge di Bilancio 2023, oltre a riproporsi la “solita” rivalutazione delle partecipazioni, si prospetta una novità assoluta: l’affrancamento delle quote di Oicr. Tale opzione consentirà di assoggettare a imposta sostitutiva del 14% i plusvalori latenti rilevati al 31 dicembre 2022, evitando la tassazione ordinaria al 26% sui redditi di capitale o sui redditi diversi.
Oggetto di affrancamento potranno essere i titoli posseduti sia alla data del 31 dicembre 2022 sia alla data, successiva, di esercizio dell’opzione. È importante notare che, trattandosi di «affrancamento» e non di «rivalutazione», la base imponibile è data solo dal differenziale di valore e non dall’intero valore di mercato (come è, invece, per le partecipazioni).
In attesa che il testo di legge diventi definitivo, possono sorgere alcuni dubbi, soprattutto sulle quote di fondi chiusi, riservati o meno. L’investitore, infatti, sottoscrive un impegno (commitment) al versamento delle somme che, volta per volta, l’intermediario richiederà in base alle necessità dell’Oicr. È ragionevole ritenere, quindi, che il «valore di acquisto o di sottoscrizione» - cui la norma si riferisce per identificare il valore di “partenza” - vada assunto per la parte effettivamente versata, che può essere inferiore all’impegno assunto con la sottoscrizione (ogni qual volta il fondo non ha ultimato i “richiami”). Solo così si ottiene un confronto tra valori “omogenei”, ossia tra le somme effettivamente investite dalla persona fisica e quelle concretamente utilizzate dall’Oicr per effettuare gli investimenti.
Allo stesso, modo, eventuali rimborsi ottenuti durante la vita del fondo dovrebbero andare a ridurre il valore fiscale di carico. Non è infrequente, infatti, che il fondo rimborsi capitale o distribuisca proventi prima ancora che l’investitore abbia ultimato i propri versamenti. Un esempio può aiutare: quota sottoscritta pari a 100, quota versata (al 31 dicembre 2022) pari ad 80, rimborsi già intervenuti per 50. Il valore della quota non potrà essere assunto per la parte sottoscritta (100) né per quella versata (80) ma dovrebbe essere pari alla differenza tra quest’ultima ed i rimborsi intervenuti (quindi pari a 80-50, ossia 30). Non è infrequente, inoltre, che alcune quote dei fondi siano detenute dai manager dell’organismo di gestione e siano dotate di «diritti patrimoniali rafforzati» (carried interest).
Trattandosi di quote i cui proventi (nel rispetto delle previsioni contenute nell’articolo 60 del Dl 50/2017) danno luogo all’emersione di redditi di capitale o redditi diversi, le stesse dovrebbero poter accedere senza problemi al regime di affrancamento. Sarebbe auspicabile un chiarimento espresso sul punto, anche perché nell’ambito dei fondi chiusi gli investimenti da parte di manager attraverso la sottoscrizione di quote con carried interest non sono affatto marginali rispetto a quelli complessivamente effettuati da persone fisiche (uniche ammesse all’affrancamento).
Altra questione che merita una riflessione è il valore di riferimento dello strumento finanziario alla data del 31 dicembre 2022. Ad oggi il testo della norma richiama quello «rilevato dai prospetti periodici alla data del 31 dicembre 2022». Per i fondi chiusi è prassi che siano predisposti periodicamente due differenti rendiconti: uno redatto secondo i criteri stabiliti dalla Banca d’Italia e un altro redatto sulla base di differenti criteri aderenti agli standard internazionali utilizzati nel settore.
Tipicamente, il primo rendiconto è redatto con un’ottica più prudenziale mentre l’altro tende a valorizzare gli asset gestiti con un approccio più incline a rappresentarne il presumibile valore di mercato. È evidente come la possibilità di non essere vincolati ad utilizzare il prospetto redatto secondo i criteri della Banca d’Italia consentirebbe di adeguare il valore delle quote a quello ragionevolmente più vicino al valore di “mercato”, rendendo la misura maggiormente appetibile.