Imposte

Amministratori-soci, tassabile la rinuncia al Tfm

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di Luca Gaiani

Per gli amministratori-soci, è tassabile la rinuncia al trattamento di fine mandato. Con la risoluzione n. 124/E , diffusa ieri, l’agenzia delle Entrate rispolvera il teorema dell’“incasso giuridico”, sostenuto da alcune sentenze della Corte di cassazione, secondo cui la rinuncia ai crediti derivanti da redditi imponibili per cassa configura un’ipotesi che fa scattare la tassazione.

Nessun “incasso giuridico”, invece, per la rinuncia al Tfm da parte di amministratori non-soci, dovendosi, in questo caso, tassare la sopravvenienza della società.

L’interpello esaminato dalla risoluzione n. 124/E riguarda una società che in passato ha deliberato, con atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto, di attribuire agli amministratori (soci e non soci) un’indennità di fine mandato (Tfm). La società, che negli anni ha dedotto per competenza le quote di Tfm, chiede chiarimenti circa il regime applicabile alle rinunce ai crediti a tale titolo vantati dagli amministratori. In particolare, l’interpello riguarda, da un lato, l’eventuale insorgenza di una sopravvenienza attiva, alla luce della nuova disciplina delle rinunce ai crediti dei soci, e, dall’altro, la possibile imposizione sul socio-amministratore.

Per quanto riguarda la posizione della società, la risoluzione distingue la rinuncia operata dagli amministratori soci da quella effettuata dagli altri manager.

Per gli amministratori-soci, l’agenzia delle Entrate ritiene applicabile l’articolo 88, comma 4-bis, del Tuir (in vigore dal 2016) secondo cui non sono imponibili le rinunce a crediti dei soci nei limiti del costo fiscale dell’attivo rinunciato. La norma, precisa la risoluzione, si applica solo laddove la rinuncia del socio (anche per crediti generati come amministratore) sia finalizzata al sostegno patrimoniale della partecipata. In presenza, invece, di atti di liberalità, la disposizione esentativa non troverà applicazione e la sopravvenienza attiva sarà imponibile.

Circa il valore fiscale del credito rinunciato, l’agenzia delle Entrate afferma che in presenza di socio persona fisica (e, aggiungiamo, in assenza di credito acquistato da terzi) non è ravvisabile alcuna differenza tra valore fiscale e valore nominale del credito sicché la rinuncia non genererà alcuna tassazione sulla società. Non dovrà essere neppure predisposta un’autocertificazione sul valore fiscale del credito richiesta dalla norma.

Sarà, invece, ordinariamente imponibile la rinuncia degli amministratori non soci trattandosi del venir meno di oneri dedotti dal reddito di esercizi precedenti.

Con riferimento alla posizione dell’amministratore, le Entrate richiamano il principio dell’“incasso giuridico” sostenuto nella circolare n. 73 del 1994, secondo cui la rinuncia ai crediti, oltre a incrementare il costo della partecipazione, può generare materia imponibile per il socio qualora riguardi crediti correlati a redditi tassati per cassa.

Questo principio, fatto proprio da alcune sentenze della Cassazione, ma fortemente osteggiato in dottrina, viene ora riaffermato nonostante l’introduzione delle nuove regole sulla tassazione delle rinunce in capo alle società debitrici. Regole che servono proprio per evitare salti di imposta (stessa finalità del principio in questione).

Secondo la risoluzione delle Entrate, a fronte della mancata tassazione della società, il socio dovrà dichiarare il reddito come se avesse incassato il Tfm rinunciato (con il conseguente obbligo di ritenute alla fonte).

Nessun incasso giuridico (e dunque nessuna tassazione), invece, per le rinunce degli amministratori non soci (già tassate dalla società), a motivo del fatto che per essi manca la possibile contropartita della rinuncia a incremento del valore della partecipazione.

Agenzia delle Entrate, risoluzione 124/E/2017

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