Controlli e liti

Anche sul transfer pricing si gioca la partita di un Fisco più moderno

di Antonio Tomassini

La manovrina disegna una disciplina del transfer price più attenta ad evitare fenomeni di doppia imposizione e una via alternativa, rispetto a quelle convenzionale e comunitaria, per riconoscere in diminuzione dal reddito della società italiana il maggior reddito accertato in capo al soggetto estero del medesimo gruppo.


Al transfer price, che riteniamo inquadri una disciplina sistematica di ripartizione del carico impositivo tra Stati (e non una disciplina antielusiva), si riconnette sempre un fenomeno di doppia imposizione internazionale. Se il fisco di un Paese straniero rettifica in aumento il reddito di una società perché ritiene di operare un adjustment al rialzo dei prezzi praticati per i beni e servizi scambiati all’interno di un gruppo con una società italiana, è evidente che a tale rettifica in aumento nello stato estero dovrebbe sempre corrisponderne una in diminuzione nel nostro Paese.

Le modifiche prevedono che la rettifica in diminuzione - se vi sia stata una corrispondente rettifica in aumento definitiva in uno Stato con il quale è in vigore una convenzione che consenta un adeguato scambio di informazioni - possa avvenire anche a seguito di un’istanza presentata alle Entrate dal contribuente. Le modalità applicative saranno esplicitate in un provvedimento del direttore dell’Agenzia.

È un’opzione facoltativa rispetto a quelle contemplate dai trattati contro le doppie imposizioni e dalla convenzione arbitrale 90/436/Ce ovvero dalle cosiddette Mutual agreement procedure (Map), il cui utilizzo negli ultimi anni è cresciuto ma che scontano ancora delle criticità che è meritorio provare a superare. La modifica consentirebbe di non far ritenere più obbligatoria l’attivazione di una Map per farsi riconoscere in Italia la rettifica in diminuzione dal reddito. Sarebbe auspicabile peraltro che il provvedimento fissasse anche dei termini certi per la conclusione di questa nuova procedura, posto che quello della tempistica è sicuramente il tema più sentito (soprattutto per la Map convenzionale, che di fatto non ha un termine). Ed infatti nonostante le modifiche all’articolo 4 del Dlgs 74/2000 dovrebbero avere reso definitivamente penalmente irrilevanti le violazioni in materia di transfer price e quindi scongiurato quella inibizione all’accesso agli strumenti internazionali in presenza di “gravi violazioni”, e nonostante la riforma del processo tributario (Dlgs 156/2015) abbia previsto un ulteriore caso di sospensione del processo proprio in presenza di Map, le procedure in questione restano problematiche quanto a rigidità e tempistiche.

Quanto all’altra modifica prevista dalla manovrina all’articolo 110 Tuir, per la quale si abbandona il riferimento al concetto di «valore normale» per passare al criterio Ocse dell’arm’s length (transazioni a condizioni similari a quelle che sarebbero stabilite da operatori indipendenti impegnati in transazioni comparabili), riteniamo configuri una norma di interpretazione in un ambito dove la dottrina si interrogava sulla sovrapponibilità tra i due concetti. A ben guardare la prassi domestica si è già adeguata agli standard internazionali, visto che le linee guida Ocse (tradotte in italiano già nel 1997) vengono abitualmente utilizzate in verifica e le novità normative del 2010 sulla compliance in materia hanno avvicinato gli oneri documentali di casa nostra a quelle dei Paesi più avanzati.

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