Controlli e liti

Ancora poche condanne alle spese quando il Fisco perde il processo

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Giudici “avari” nella condanna alle spese dell’amministrazione soccombente nel giudizio tributario. Nonostante la norma ponga sullo stesso livello le parti processuali, e quindi uffici e contribuenti, la prassi va in un’altra direzione: quando vengono accolte le pretese del contribuente si assiste spesso alla compensazione delle spese di lite oppure, al massimo, quando a soccombere è l’amministrazione, vengono liquidati importi del tutto ridotti rispetto a quelli decisi.

Nel primo trimestre 2018 in primo grado i contribuenti hanno visto accogliere il proprio ricorso totalmente nel 31,3% dei casi, ma l’amministrazione è stata condannata al rimborso delle spese in meno della metà di tali giudizi (15,91%). In parallelo, gli enti impositori hanno avuto giudizi completamente favorevoli nel 46,4% dei casi e la condanna del contribuente al pagamento delle spese c’è stata nel 25,7% delle controversie.

Presso le commissioni regionali non va meglio: a fronte del 37,1% di cause concluse con esito completamente favorevole al contribuente la condanna alle spese dell’ente è arrivata solo nel 16,5% dei casi; in parallelo, a fronte del 46,1% di cause con esito completamente favorevole agli uffici, le spese di giudizio sono poste a carico del contribuente nel 26,1% dei casi.

A lasciare ancor più perplessi sono, in genere, gli importi delle spese liquidate. Nella maggior parte dei casi si nota una ingiustificata differenza a parità di valore della causa: se a vincere è il contribuente, le somme liquidate sono decisamente inferiori rispetto a quelle erogate agli uffici in caso di esito contrapposto.

In realtà la norma è molto chiara e, applicandola correttamente, l’entità della spesa liquidata a favore dei contribuenti dovrebbe essere addirittura superiore a quella liquidata all’ufficio. Infatti, in base all’articolo 15 del Dlgs 546/1992 se l’ente impositore o l’agente della riscossione è assistito da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati con la riduzione del 20% dell’importo previsto.

Di conseguenza, in caso di soccombenza in primo grado dell’ufficio in merito a un accertamento di circa 500mila euro, al contribuente, difeso da avvocato, dovrebbero essere liquidati circa 11mila euro (ex Dm 55/2014), mentre a parti contrapposte (soccombenza del contribuente) all’ufficio dovrebbero essere liquidate spese per 8.800 euro (- 20%). Eppure, in genere si verifica esattamente il contrario e con sproporzioni molto più accentuate.

Ma vediamo in concreto la disciplina della condanna alle spese di lite nel contenzioso tributario: la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese da liquidare con la sentenza; possono essere compensate, in tutto o in parte, soltanto in caso di soccombenza reciproca o in presenza di gravi ed eccezionali ragioni espressamente motivate; le spese comprendono il contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali, gli esborsi sostenuti, il contributo previdenziale.

In particolare, se il contribuente assistito è un soggetto Iva e il giudizio ovviamente è inerente all’attività d’impresa o professione esercitata, la controparte pubblica soccombente non dovrà rimborsare l’Iva in quanto, in tal caso, il contribuente potrà detrarre l’imposta fatturata dal difensore che per lui, quindi, non costituisce un costo effettivo.

Inoltre, con le modifiche introdotte dall’1 gennaio 2016 la commissione può condannare alle spese anche sulle istanze cautelari. Anche in questo caso, però, molti giudici tributari, le liquidano soltanto in caso di rigetto della richiesta del contribuente, mentre in ipotesi di accoglimento si riservano di farlo successivamente nella fase del merito.

I tre capisaldi

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