Adempimenti

Attività cross border: obbligo di comunicazione da definire

di Mario Martinelli e Andrea Tempestini

La consultazione avviata dal ministero dell’Economia sul recepimento della direttiva 2018/822 (Dac6) è un’ occasione per contribuire a una equilibrata attuazione, nel rispetto dei margini di manovra consentiti al legislatore nazionale.

La direttiva è figlia del Beps action 12 report, che a sua volta si ispira ai regimi di «mandatory disclosure» già esistenti ad esempio in Gran Bretagna, Usa e Irlanda. Colpisce, però, il ben più ampio ambito applicativo della direttiva, non solo per la definizione estensiva di «meccanismo transfrontaliero», ma anche per il vasto elenco degli elementi distintivi (hallmarks) che rendono il meccanismo soggetto all’obbligo di notifica (ben al di là della esistenza di indici concreti di pericolosità) e per l’assenza di soglie quantitative di rilevanza di tali hallmarks (si veda «Il Sole 24 Ore» del 2 agosto e di ieri).

Lo schema di decreto attuativo ricalca le definizioni della direttiva, mentre rinvia ad un futuro decreto ministeriale di natura non regolamentare l’individuazione degli elementi distintivi, nonché i criteri in base ai quali verificare quando i meccanismi transfrontalieri sono diretti ad ottenere un vantaggio fiscale. È auspicabile che, nei limiti concessi dalla direttiva, il futuro decreto possa comunque fornire definizioni più precise degli hallmarks.

Dubbi sussistono, poi, sul coordinamento richiesto tra gli intermediari tenuti alla comunicazione. Si pensi al caso di un’operazione transfrontaliera di M&A in cui sono coinvolti consulenti appartenenti a studi e Paesi diversi: ciascuno è obbligato alla comunicazione, salvo poter dimostrare che l’obbligo è già stato adempiuto da altri. È agevole immaginare le difficoltà di coordinamento causate da questa regola, in caso di disaccordo tra gli stessi intermediari sui presupposti dell’obbligo di notifica o sui contenuti della comunicazione. Senza considerare che consulenti senza una propria sensibilità fiscale dovrebbero dotarsene per svolgere un’autonoma valutazione o assicurarsi che tale valutazione sia fatta da qualcuno, nella filiera, che abbia della loro fiducia.

La direttiva consente agli Stati membri di esonerare gli intermediari dall’obbligo di notifica, quando questo violerebbe il segreto professionale sulla base del diritto nazionale. Lo schema di decreto attua parzialmente questa facoltà (il che non appare appropriato), limitandosi ad esonerare l’intermediario quando la sua attività si ferma all’esame della posizione del cliente o alla rappresentanza in giudizio, ma senza prestare consulenza nell’attuazione del meccanismo transfrontaliero: distinzione, questa, di non sempre agevole messa a fuoco. Lo schema prevede, inoltre, l’esonero dell’intermediario qualora dalle informazioni trasmesse possa emergere una sua responsabilità penale: anche questo caso sembra di incerta valutazione pratica.

È auspicabile che la versione finale del decreto possa dirimere i tanti dubbi, anche in vista della portata retroattiva dell’obbligo di comunicazione (25 giugno 2018): si tratta di un ulteriore provvedimento che muove nel solco della trasparenza ma che rischia, in assenza di confini certi e regole applicative chiare, di complicare inutilmente (paralizzandole) le attività degli operatori o di tradursi in un mero esercizio di forma, senza presa concreta.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©