Controlli e liti

Base azionaria ristretta, difesa difficile per i soci

Arduo provare che gli utili extracontabili accertati sono stati accantonati o reinvestiti. Più semplice dimostrare l’estraneità del singolo alla gestione sociale

immagine non disponibile

di Giorgio Gavelli e Fabio Giommoni

Sono sempre più frequenti gli accertamenti che vedono l’imputazione in capo ai soci dei maggiori redditi accertati in via extracontabile nei confronti delle società a ristretta base partecipativa. Una modalità di accertamento che deriva dall’applicazione di un meccanismo presuntivo che non scaturisce direttamente da norme tributarie, ma da una prassi degli uffici confermata nel corso del tempo dalla giurisprudenza.

In particolare, secondo la Cassazione, in presenza di una società di capitali a ristretta base sociale è legittima la presunzione di distribuzione pro quota ai soci di utili extracontabili accertati nei confronti della società. Nelle piccole realtà infatti, il ristretto numero dei soci comporta di norma una compartecipazione diretta di ciascuno di essi agli affari societari: è dunque verosimile che i maggiori utili non dichiarati vengano ripartiti direttamente in capo a ciascun socio.

L’onere della prova

Una volta accertati i maggiori utili della società, il Fisco li imputa direttamente ai soci, con il conseguente ribaltamento dell’onere della prova in capo al socio stesso, il quale – secondo la giurisprudenza – può superare la presunzione provando che i maggiori ricavi accertati alla società non siano stati distribuiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società medesima. Una prova tuttavia difficile da fornire nella realtà, perché trattandosi di utili extra bilancio non si può dare evidenza del loro “accantonamento” nel patrimonio netto sociale.

In alternativa, si potrebbe fornire la prova del reinvestimento degli utili, ma servirebbe, quanto meno, che le somme derivanti dagli utili extracontabili fossero presenti in un conto intestato alla società – eventualmente anche estero –, che però non sarebbe stato recepito in bilancio. Questa strada non risulta dunque percorribile.

Ancora più problematica è l’ipotesi di dimostrare che gli utili evasi siano stati reinvestiti mediante acquisti “in nero”, perché ciò condurrebbe alla contestazione da parte dell’ufficio di ulteriori utili extracontabili per gli anni successivi. Anche questi maggiori redditi verrebbero imputati in capo ai soci della società, cosicché si dovrebbe fornire nuovamente la prova contraria, innescando una potenziale attività accertativa senza fine.

La gestione sociale

Viste le difficoltà del caso, si è formato di recente un orientamento giurisprudenziale in base al quale il socio può fornire, in alternativa, la prova della sua estraneità alla gestione sociale. In sostanza, si tratta di dimostrare che il socio ricorrente (che non sia anche amministratore) non abbia partecipato direttamente alla gestione della società: in questo modo, non sarebbe verosimile che egli abbia percepito i maggiori utili accertati.

Alcune sentenze più recenti, di merito e di legittimità (si veda la scheda in pagina), si sono espresse favorevolmente nei confronti del contribuente in merito a quest’ultima possibilità. In particolare, si potrà provare la mancata partecipazione alla gestione sulla base del procedimento penale – eventualmente scaturente dall’accertamento – in cui il socio ricorrente non risulti chiamato in causa, a differenza di quelli che effettivamente gestivano la società. In altri casi, si potrà provare che il socio svolga a tempo pieno un altro lavoro incompatibile con la partecipazione attiva alla gestione della società oggetto di accertamento, come l’essere dipendente di altra azienda con incarichi e mansioni di un certo livello che lo impegnano a tempo pieno. Infine, si potrà dimostrare l’esistenza di litigi insanabili, con il socio o con i soci che esercitavano effettivamente il controllo della società accertata, che hanno comportato una totale esclusione del socio ricorrenTe dalla gestione sociale.

A ogni modo, quest’orientamento giurisprudenziale dovrà superare il test dell’applicazione del nuovo comma 5-bis dell’articolo 7 del Dlgs 546/1992 in materia di onere della prova, modificato dall’articolo 6 della legge di riforma 130/2022. Il che, secondo il documento diffuso da Cndcec/Fnc il 14 dicembre 2022, non è affatto scontato.

LA GIURISPRUDENZA SULL’ESTRANEITÀ ALLA GESTIONE SOCIALE

Esclusione dall’indagine
La prova liberatoria può consistere nella dimostrazione che il socio è estraneo alla gestione sociale in quanto non coinvolto, né come indagato, né come imputato, all’indagine penale nei confronti della società che coinvolge invece gli altri soci.
Cassazione, ordinanza 24870 del 26 maggio 2021

Altro lavoro a tempo pieno
La presunzione può essere vinta dal socio che dimostri la sua estraneità alla gestione e alla conduzione societaria in virtù di un rapporto di lavoro a tempo pieno alle dipendenze di una multinazionale con ruolo di responsabilità; attività incompatibile con quella di gestione della società.
Commissione tributaria regionale di Firenze, sezione I, sentenza 724 del 20 maggio 2022

Litigi con il socio
L’estraneità del socio alla gestione sociale della società può essere dimostrata sulla base di comprovati litigi con il socio che esercita effettivamente il controllo della medesima società.
Cassazione, ordinanza 29794 del 16 giugno 2021

Mancata notifica
Al socio receduto prima dell’attività accertativa posta in essere dall’amministrazione non può essere imputato il maggior reddito senza che gli sia notificato, unitamente all’atto di accertamento a lui rivolto, anche quello emesso nei confronti della società, poiché operando in tal modo si lede il suo diritto di difesa, dato che con il recesso viene meno il potere del socio di consultare la documentazione relativa all’accertamento sulla società.
Corte di giustizia tributaria di II grado Emilia-Romagna, sez. I, sentenza 35 del 4 gennaio 2023

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©