Contabilità

Bilancio, svalutazione dei crediti con criterio forfettario

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di Pierpaolo Ceroli e Luisa Miletta

I crediti sono rappresentati in bilancio al netto del fondo svalutazione crediti. Un credito deve essere svalutato nell’esercizio in cui si ritiene probabile che lo stesso abbia perso valore. Così recita l’Oic 15 che prosegue spiegando che tale riduzione di valore di uno o più crediti deriva da un processo valutativo di stima, secondo un presunto valore di realizzo riconducibile ad una certa data di bilancio e può interessare sia i crediti iscritti al costo ammortizzato, sia quelli iscritti al valore di presumibile realizzo, nel caso di mancata applicazione del primo metodo.

Fiscalmente, le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, che derivano dalle cessioni di beni e dalle prestazioni di servizi che generano ricavi, all’articolo 85, comma 1, del Tuir, sono deducibili, in ciascun periodo d’imposta, nel limite dello 0,5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi. La deduzione non è più ammessa quando l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti ha raggiunto il 5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell’esercizio ai sensi dell’articolo 106 comma 1 del Tuir. Il comma 2 dello stesso articolo specifica che se in un esercizio l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti eccede il predetto 5%, l’eccedenza concorre a formare il reddito dell’esercizio stesso. Con la risoluzione 67/E/2017 l’agenzia delle Entrate aveva avuto modo di chiarire che la svalutazione fiscalmente ammessa dal comma 1 dell’articolo 106 del Tuir richiamato si determina secondo un criterio forfettario riferito all’insieme dei crediti iscritti in bilancio, senza alcuna indagine sul grado di esigibilità di ciascuno di essi; per effetto della forfetizzazione ivi prevista, la norma determina la configurazione di un “fondo fiscale” formato da tutte le svalutazioni e gli accantonamenti dedotti ai sensi dell’articolo 106 del Tuir, richiamando quanto già statuito nella circolare 26/E del 2013.

Pertanto il confronto con il 5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti - necessario per stabilire quando la deduzione fiscale della svalutazione non è più ammessa - deve essere effettuato con il totale delle svalutazioni e degli accantonamenti “dedotti” e non con quelli complessivamente imputati in bilancio; inoltre, se in un esercizio l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti eccede il 5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti, l’eccedenza concorre a formare il reddito dell’esercizio e non tutti gli accantonamenti al fondo svalutazione crediti effettuati nell’esercizio medesimo. Quest’ultimo chiarimento è stato particolarmente “rivoluzionario” in quanto è andato nella direzione opposta della stessa prassi dell’Agenzia che spesso in sede accertativa, commetteva l’errore di determinare la percentuale del 5% comprendendo anche gli accantonamenti “civilistici”, ciò nonostante la società accertata avesse correttamente non dedotto gli stessi tra i costi ai fini fiscali, bensì ripreso a tassazione mediante variazione in aumento nella dichiarazione, con la conseguenza di una duplicazione di imposta penalizzante per la società sottoposta a verifica.

Si rilevi che a seguito dell’introduzione, ad opera del Dl 244/2016 convertito, del principio di derivazione rafforzata, i limiti alla deducibilità fiscale delle svalutazioni dei crediti previsti dall’articolo 106 del Tuir rimangono validi. L’Agenzia a Telefisco 2018, ha infatti confermato la tesi di Assonime esposta nella circolare 14 del 2017 secondo cui era possibile ritenere che il calcolo delle svalutazioni forfettarie e delle perdite deducibili dovesse essere effettuato partendo dal valore fiscale del credito che non è più necessariamente coincidente con il valore nominale o di acquisizione ma è quello che risulta dall’applicazione del costo ammortizzato. Infatti, l’articolo 13 bis del Dl Milleproroghe 2017, nell’estendere il principio di derivazione rafforzata previsto dall’articolo 83 del Tuir ai soggetti, diversi dalle micro-imprese, che redigono il bilancio in base al Codice civile, comporta il riconoscimento, ai fini fiscali, delle qualificazioni, imputazioni temporali e classificazioni derivanti dall’applicazione del criterio del costo ammortizzato per la valutazione dei crediti. Nell’ipotesi di finanziamenti infragruppo infruttiferi o a tassi “significativamente” diversi a quelli di mercato con rilevazione di componenti a stato patrimoniale, l’Agenzia precisa che non vale questa applicazione, dovendosi invece conformarsi all’articolo 5 comma 4-bis del Dm 8 giugno 2011, che implica la sterilizzazione, ai fini fiscali, degli effetti derivanti dalla contabilizzazione dei finanziamenti in esame al costo ammortizzato, con il risultato che valore nominale (o di acquisizione) e valore fiscale del credito continuano a coincidere.

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