Bitcoin con plusvalenze da dichiarare
C’è tempo fino al 10 marzo per dichiararle al fisco pagando solo 25,80 euro per il ritardo. Obbligo di monitoraggio fiscale
Negli ultimi mesi hanno fatto notizia i repentini aumenti di controvalore delle cosiddette criptovalute ma i fortunati possessori, se inquadrabili come contribuenti residenti italiani, che le hanno acquistate dal 2019 ovvero negli anni precedenti hanno tempo solo entro mercoledì 10 marzo per dichiararle al fisco pagando solo 25,80 euro per il ritardo. Questa è probabilmente l'ultima possibilità per evitare una segnalazione per operazione sospetta sia essa antiriciclaggio o fiscale da parte degli intermediari bancari e finanziari o dei professionisti e l’applicazione di sanzioni rilevanti .
Poiché il mondo delle criptovalute non è regolamentato, sono ipotizzabili situazioni in cui la detenzione produca una qualche forma di remunerazione oppure si eseguono transazioni idonee a produrre redditi imponibili. In tali casi, sorge sicuramente l'obbligo di compilazione, ma la particolarità dell'investimento in esame origina alcune incertezze degne di nota.
È necessario evidenziare, che, con una risposta del 19 aprile 2018 a un interpello, le Entrate (Dre Lombardia) hanno chiarito come le criptovalute possedute nel 2017 vadano riportate nella dichiarazione dei redditi del 2018. Il semplice utilizzo di moneta elettronica o virtuale, quindi secondo le Entrate, comporta l’assoggettabilità alla tassazione italiana, in quanto attività destinata a produrre reddito. Ne consegue, così, che l'investitore potrebbe realizzare delle plusvalenze o comunque altri redditi che devono essere tassati.
In effetti l’amministrazione finanziaria pone nella sua prassi l’attenzione sull’articolo 67 del Tuir che richiama alcune delle operazioni aventi a oggetto le valute, individuando: 1) le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti (comma 1, lettera c-ter); 2) i redditi, diversi da quelli precedentemente indicati, comunque realizzati mediante rapporti da cui deriva il diritto o l'obbligo di cedere o acquistare a termine valute ovvero di ricevere o effettuare a termine uno o più pagamenti collegati a tassi di interesse, a quotazioni o valori di valute estere (comma 1, lettera c-quater), con l’ulteriore condizione che le plusvalenze rilevano se la giacenza media del conto corrente da cui provengono le valute estere cedute superi per almeno 7 giorni lavorativi continui l’importo di 51,645,70 euro (comma 1-ter).
Le normali transazioni di acquisto e vendita non a termine di bitcoin eseguite da privati al di sotto delle soglie stabilite non sarebbero, quindi, idonee a generare reddito imponibile. Più di recente, e, più precisamente, con la recente sentenza 1077/2020, il Tar del Lazio respingendo il ricorso avverso l’annullamento delle istruzioni sulla compilazione della dichiarazione dei redditi presentato da un’associazione di imprese ha stabilito che i soggetti titolari di criptovalute sono obbligati a indicare tali monete digitali in dichiarazione dei redditi. La questione prendeva le proprie sorti a causa di un ricorso, presentato contro l’agenzia delle Entrate, la quale, all’interno delle istruzioni, rilasciate per la compilazione del modello Unico per le persone fisiche, stabiliva l’obbligo, in capo ai contribuenti, di indicare in dichiarazione le valute virtuali.
La parte ricorrente lamentava il fatto che ciò non fosse, a loro dire, previsto da alcuna apposita norma. Sul punto, però, i giudici amministrativi hanno chiarito che «è dirimente la circostanza che la modifica del Dl 167/1990 operata per il tramite del Dlgs 90/2017, ha esplicitamente inserito l’utilizzo delle “monete virtuali” tra le operazioni relative ai trasferimenti da e per l’estero, rilevanti ai fini del relativo monitoraggio ex articolo 1 del Dl 167/1990: “1. Gli intermediari bancari e finanziari di cui all’articolo 3, comma 2, gli altri operatori finanziari di cui all’articolo 3, comma 3, lettere a) e d), e gli operatori non finanziari di cui all’articolo 3, comma 5, lettera i), del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e successive modificazioni, che intervengono, anche attraverso movimentazione di conti, nei trasferimenti da o verso l’estero di mezzi di pagamento di cui all’articolo 1, comma 2, lettera s), del medesimo decreto sono tenuti a trasmettere all’Agenzia delle entrate i dati di cui all’articolo 31, comma 2, del menzionato decreto, relativi alle predette operazioni, effettuate anche in valuta virtuale, di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che si tratti di un’operazione unica o di più operazioni che appaiano collegate per realizzare un’operazione frazionata e limitatamente alle operazioni eseguite per conto o a favore di persone fisiche, enti non commerciali e di società semplici e associazioni equiparate ai sensi dell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”. In sostanza, l’articolo 1 citato opera sotto un duplice profilo, oggettivo e soggettivo; sotto il profilo oggettivo, assoggetta espressamente al monitoraggio sia l’utilizzo delle valute virtuali, che l’utilizzo di “mezzi di pagamento” (distinti dalle prime e definiti, come meglio oltre si vedrà, all’articolo 1, comma 2, lettera “s” del Dlgs 231/2007), in genere; sotto il profilo soggettivo, ai suddetti obblighi di monitoraggio sono tenuti, inoltre, sia gli operatori finanziari che gli operatori non finanziari.
Si rivela dunque infondata l’argomentazione della parte ricorrente secondo la quale le valute virtuali non dovrebbero essere dichiarate nel quadro RW perché non espressamente elencate nell’articolo 4: la nozione di investimenti esteri, valevole ai fini del monitoraggio, è definita all’articolo 1 del medesimo Dl». È necessario evidenziare, inoltre, che, con una risposta del 19 aprile 2018 a un interpello, l’agenzia delle Entrate (Dre Lombardia) ha chiarito come le criptovalute – tipo bitcoin – possedute nel 2017 vadano riportate nella dichiarazione dei redditi del 2018.
Il semplice utilizzo di moneta elettronica o virtuale, quindi, comporta l’assoggettabilità alla tassazione italiana, in quanto attività destinata a produrre reddito. Ne consegue, così, che l’investitore potrebbe realizzare delle plusvalenze o comunque altri redditi che devono essere necessariamente tassati.
In conclusione, ribadiscono i giudici, tutti i soggetti titolari o anche meri possessori di attività finanziarie e/o di investimento all’estero, devono provvedere a compilare il quadro RW “Investimenti all’estero e/o attività estere di natura finanziaria – monitoraggio Ivie/Ivafe” - riquadro «codice 14», all’interno del quale va indicato l’ammontare degli investimenti e delle proprie attività detenute all’estero. Per tali motivi, il Tar del Lazio ha rigettato il ricorso presentato dall’associazione di imprese e accolto le difese dell’agenzia delle Entrate, ritenendo che le istruzioni che la stessa Agenzia aveva diffuso per la compilazione del quadro RW per il modello Unico 2019, rappresentano semplici indicazioni ricognitive di obblighi dichiarativi già precedentemente disposti dalla legge (articolo4 del Dl 167/1990 poi convertito in legge 227 del 4 agosto 1990).
In questo contesto di fervente discussione e dottrina non ancora unanime, bisogna ricordare a tutti coloro che, pur possedendo valute virtuali, non abbiano ancora assolto i loro obblighi dichiarativi, la possibilità del tutto straordinaria di porre rimedio, senza incorrere in sanzioni gravi, fino al 10 di marzo 2021. Il decreto Ristori quater ha, invero, introdotto una proroga generalizzata per tutti i contribuenti. Quest’anno, infatti, sia le persone fisiche che le società hanno potuto godere della proroga, al 10 dicembre 2020, del termine di presentazione delle dichiarazioni dei redditi e Irap.
Una delle conseguenze indirette portate in dote riguarda lo slittamento, in avanti, dei termini per effettuare il ravvedimento operoso delle dichiarazioni.I termini per effettuare il ravvedimento, così come disciplinato dall’articolo 13 del Dlgs 472/1997, sono strettamente connessi a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi.
Di particolare rilievo, in questi giorni, è il termine per presentare la dichiarazione «tardiva», entro 90 giorni dalla scadenza, la quale permette di non incorrere nella violazione (non sanabile con il ravvedimento) di dichiarazione omessa. Tale termine, alla luce del riconteggio susseguente al decreto Ristori quater, cadrà il 10 marzo 2021.In questo caso, la sanzione applicabile sarà quella in misura fissa di 250 euro (articolo 1, comma 1, del Dlgs 471/1997), prevista per l’omissione della dichiarazione in assenza di debito d’imposta.
In attuazione dell’istituto del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del Dlgs 472/1997, poi, la sanzione fissa per la tardività (250 euro) potrà essere ridotta, in sede di ravvedimento operoso, a 1/10 (25 euro). Anche la sanzione per l’omissione del quadro RW, la cui sanzione edittale, ricordiamo, va dal 3% al 15% del valore non dichiarato, si riduce, entro i 90 giorni, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del Dl 167/90 a 258 euro, ridotti ulteriormente a 1/10 per effetto dell’istituto del ravvedimento operoso. Infine, in tal contesto, anche l’eventuale tardivo o carente versamento del tributo potrà essere regolarizzato applicando le riduzioni previste dall’articolo 13, Dlgs 472/1997, a seconda del momento in cui interviene il versamento.
Alla luce di quanto sin qui riportato, è evidente come i prossimi giorni rivestano un’opportunità molto importanti per coloro i quali desiderino correggere qualsiasi eventuale omissione dichiarativa, relativa alla detenzione di criptovalute e non, incorrendo, per farlo, a sanzioni veramente minimali.