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Black list, sotto la lente dell’Unione europea 12 giurisdizioni

Altri nove Paesi hanno assunto l'impegno di aprirsi a breve

di Alessandro Galimberti

La proposta formulata lunedì 1° marzo dal comandante generale della Guardia di finanza, Giuseppe Zafarana, in audizione davanti alle Commissioni finanze di Camera e Senato, di un prelievo fiscale aggiuntivo per i patrimoni ancora offshore fa riferimento alla black list europea. Che, per essere chiari, non è l’unico strumento normativo rimasto ancora in vigore per fotografare un mondo – quello dell’evasione internazionale – molto modificato negli ultimi anni per sfuggire alle strettoie di una collaborazione tra Paesi comunque sempre più ampia. In Italia, per esempio, oltre alle black list internazionali (c’è infatti anche il versante Ocse, lista ancora più short) è tutt’oggi in vigore pure l’elenco delle giurisdizioni collaborative (Dm 4 settembre 1996, white list), periodicamente aggiornato non a cadenze fisse, a differenza dell’arco semestrale dello strumento Ue, e di fatto da noi resta ancora presente la black-list “persone fisiche” (Dm del 1999 sulla residenza) che inverte l’onere della prova fiscale per chi risiede in quelle giurisdizioni - in cui paradossalmente figura ancora la Svizzera, nonostante gli enormi sforzi di compliance compiuti a partire dal 2014.

In ogni caso, anche solo per rimanere all’indicazione del comandante della Gdf, e cioè alla lista Ue, i sentieri da battere – le giurisdizioni «non collaborative» – sono 12: Samoa americane, Anguilla, Dominica, Figi, Guam, Palau, Panama, Samoa, Seychelles, Trinidad e Tobago, Isole Vergini americane e Vanuatu. Altre nove giurisdizioni (grey list, ma impegnatesi ad “aprirsi” a breve) sono Australia, Barbados, Botswana, Eswatini, Giamaica, Giordania, Maldive, Thailandia e Turchia.

Possibile che centinaia e centinaia di miliardi di imponibile italiano ancora in fuga – di ciò sono convinte anche le maggiori Procure che indagano sull’evasione internazionale, a cominciare da Milano – siano stati dirottati in angoli così remoti, e talvolta neppure affidabilissimi, del globo? Appunto perché si tratta di Paesi fiscalmente opacissimi per definizione, nessuno può ragionevolmente rispondere al quesito con certezza. Ma è doveroso prendere atto che molti osservatori ritengono che il malloppo “globe trotter” oggi stia dietro a costruzioni giuridiche molto raffinate, pensate su misura per aggirare il Common Reporting Standard. Quel Crs messo a punto da lustri di lavoro dell’Ocse, e che altro non è che il “motore” dello scambio automatico di informazioni entrato ormai pienamente a regime anche in Italia.

L’eterna lotta tra evasione e tentativo di recupero a tassazione, in sostanza, è tutt’altro che finita.