Bocciata la rettifica dell’avviamento basata su listini non indicati nell’atto
Non basta richiamare i prezzi se non possono essere consultati secondo la Ctr Lazio 1337/5/2020
È illegittimo l’avviso di liquidazione della maggiore imposta di registro dovuta per la rettifica dell’avviamento di un bar qualora l’ufficio abbia rideterminato il valore basandosi sui listini Fimaa, non allegati all’accertamento e neppure individuabili e consultabili per mancanza di riferimenti puntuali. Lo ha stabilito la Ctr del Lazio, con la sentenza 1337/5/2020 (presidente Reali, relatore Barba).
In base all’articolo 52 del Dpr 131/1986, a pena di nullità, la motivazione dell’atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e – se la motivazione fa riferimento a un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente – questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, a meno che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.
Inoltre, l’articolo 7 della legge 212/2000 prevede che, se nella motivazione si fa riferimento a un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama.
Nel caso esaminato dalla Ctr Lazio, le Entrate non avevano allegato all’avviso di rettifica i listini pubblicati dalla Fimaa (Federazione italiana mediatori agenti d'affari, aderente a Confcommercio), che periodicamente pubblica un bollettino con le stime delle aziende tratte delle contrattazioni concluse dai mediatori, benché tali listini fossero stati esplicitamente richiamati nell’avviso di liquidazione a sostegno della rideterminazione del valore dell’avviamento del bar venduto.
Il collegio romano ha ripreso il principio (seppur sancito per le cartelle di pagamento) per cui l’atto di rinvio, quando si tratta di atti dei quali il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione o pubblicazione, non deve essere necessariamente allegato, sempre che ne siano indicati i relativi estremi di notificazione o di pubblicazione (Sezioni unite 11722/2010).
Nel caso di specie, secondo il collegio di merito, il listino prezzi non poteva essere considerato atto pubblico consultabile da chiunque. Tuttavia, laddove l’atto richiamato fosse stato pubblicato su albi o bollettini ufficiali, sarebbe allora stata sufficiente l’indicazione degli estremi dell’atto e degli altri elementi necessari all’individuazione della pubblicazione per ritenere legittima la motivazione (cosiddetta per relationem).
Nell’avviso di liquidazione in oggetto, invece, il Fisco si era limitato alla mera e semplicistica menzione dei listini Fimaa: pur risultando corredato dal criterio di calcolo scelto, l’atto notificato al contribuente risultava totalmente privo, non soltanto di una specifica indicazione dei seppur minimi elementi che ne consentono il rinvenimento e la consultazione, ma anche della stessa fonte formale da cui poter trarre la conoscenza degli elaborati utilizzati dall’ufficio. Da qui la bocciatura dell’accertamento.
In passato, la Corte di cassazione 4396/2018 aveva ritenuto legittimo un accertamento (anche se ai fini delle imposte dirette, per le quali tuttavia sussiste analogo obbligo di allegazione: articolo 42 del Dpr 600/1973) basato sui prezzi medi riportati su una rivista, non allegata però all’atto impositivo. In parallelo, però, ovviamente è stato bocciato un accertamento che non recava proprio nessuna indicazione specifica dei documenti contenenti le generiche indagini di mercato richiamate e utilizzate a sostegno della motivazione dell’atto impositivo, documenti che neppure erano stati allegati (Cassazione 25946/2015).