Imposte

Bonus impatriati anche a chi lavora da remoto per l’estero

Misura a beneficio di aree a rischio desertificazione demografica

di Tiziana Creta e Alessio Vagnarelli

Le misure fiscali proposte negli ultimi anni in Italia per attrarre capitale umano possono rappresentare un esperimento interessante di rigenerazione economica, sociale e tecnologica, dei nostri centri urbani.

Il lavoro in remote working supera le barriere fisiche del posto di lavoro e la prossimità all’«ufficio» diventa, in molti casi, un elemento non più necessario per l’esecuzione dell’attività lavorativa.

Coniugare lavoro da remoto e regime degli impatriati potrebbe rendere l’Italia un laboratorio di sedi diffuse di lavoro, a beneficio di aree geografiche che soffrono il fenomeno della desertificazione demografica.

Ricordiamo, infatti, che con il decreto Crescita (Dl 34 del 2019) le condizioni per accedere al regime dei cosiddetti lavoratori impatriati di cui all’articolo 16, comma 1, del Dlgs 147/2015, sono state semplificate ed oggi un soggetto residente all’estero (che sia o meno cittadino italiano) che decida di trasferirsi in Italia, può beneficiare di una sensibile riduzione del carico fiscale sul reddito di lavoro dipendente qualora:

sia stato residente all’estero (e quindi non residente in Italia) almeno nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento in Italia;

1 s’impegni a risiedere in Italia per almeno due anni;

2 l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano.

Le modifiche introdotte dal decreto Crescita sembrerebbero consentire l’accesso all’agevolazione (già riconosciuta peraltro in caso di distacchi dall’estero) anche a tutti quei dipendenti di aziende non residenti che dovessero decidere di trasferirsi in Italia per svolgere da remoto l’attività lavorativa.

A favore di tale opportunità sembrerebbe orientarsi l’agenzia delle Entrate che con la risposta ad interpello n. 341 dell’11 settembre scorso ha riconosciuto la spettanza di una simile agevolazione fiscale (quella di cui all’articolo 44 del Dl 78 del 2010 per i docenti e i ricercatori) ad un lavoratore che, trasferendosi in Italia, aveva intenzione, tra l’altro, di continuare a prestare l’attività di ricerca in favore di un Ente estero.

Un’interpretazione contraria si scontrerebbe con il testo normativo e non valorizzerebbe adeguatamente gli effettivi benefici di carattere economico, sociale e tecnologico che potrebbero derivare dai trasferimenti in Italia di soggetti residenti all’estero.

I vantaggi per l’individuo sarebbero importanti; per coloro che trasferiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo di imposta 2020, l’ammontare di reddito escluso da tassazione è del 70%, con un ulteriore abbattimento fino al 90% per chi sceglie di trasferirsi in un Comune dell’Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia.

L’agevolazione compete per cinque periodi di imposta e, precisamente, per quello in cui il soggetto trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi d’imposta successivi.

Il decreto Crescita ha peraltro ulteriormente ampliato l’arco temporale di fruizione del regime.

Secondo la nuova formulazione, infatti, la sua applicazione è estesa per ulteriori cinque periodi di imposta per i lavoratori con almeno un figlio minore a carico e per quelli che acquistino in Italia, successivamente al trasferimento o nei dodici mesi antecedenti, un immobile residenziale.

In entrambi i casi, per il quinquennio aggiuntivo la percentuale di esclusione del reddito sarà limitata al 50%, che può arrivare al 90% per i lavoratori che abbiano almeno tre figli minorenni o a carico.

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