Bonus ricerca e sviluppo, la sanzione si può ridurre in base alla violazione
L’Economia: dal 2017 sono stati notificati 804 atti di recupero e 164 processi verbali
La sanzione per credito inesistente in caso di contestazione sul bonus ricerca e sviluppo si può mitigare. È uno degli aspetti della risposta del ministero dell’Economia , letta dalla sottosegretaria Maria Cecilia Guerra, all’articolata interrogazione di Roberta Toffanin (Forza Italia) in commissione Finanze al Senato finalizzata a ricevere risposte anche sull’esatto perimetro delle verifiche delle Entrate sull’agevolazione, che stanno causando incertezza e preoccupazione nelle imprese coinvolte. I numeri sugli accertamenti resi noti dalla risposta evidenziano che gli atti di recupero notificati nel quinquennio 2017/2021 (dati aggiornati al 30 giugno 2021) ammontano a 804 e i processi verbali di constatazione notificati (al netto di quelli già confluiti in un atto di recupero) sono 164.
Gli effetti sono pesanti. Il rilievo di credito inesistente si accompagna a una sanzione dal 100 al 200% del bonus che, secondo il Fisco, è stato fruito senza i presupposti. Sul punto la risposta del ministero rileva che esistono possibilità di ridurre la sanzione. Da un lato, il contribuente può giocare la carta del ravvedimento, anche successivamente alla constatazione della violazione, ma comunque prima che sia stato notificato l’atto di recupero. Dall’altro, gli uffici delle Entrate possono ridurre la sanzione alla metà del minimo edittale (articolo 7, comma 4, del Dlgs 472/1997) qualora emergano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo a cui la violazione si riferisce e la sanzione. Inoltre il ministero dello Sviluppo economico (Mise) ha segnalato alla direzione provinciale delle Entrate di competenza l’opportunità di applicare l’esimente delle obiettive condizioni di incertezza nelle situazioni che non presentassero «specifiche criticità di tipo documentale» e in cui la questione riguardasse la «verifica dei contenuti di novità e originalità delle attività svolte».
Proprio sul “contributo” del Mise nel valutare la conformità dell’attività di ricerca e negli aspetti più tecnici - oggetto anche di pronunce della giurisprudenza tributaria (si veda «Il Sole 24 Ore» del 4 agosto) - la risposta del ministero dell’Economia chiarisce che «la richiesta del parere è espressamente prevista dalla norma come una facoltà, non un obbligo, per l’agenzia delle Entrate». E i pareri tecnici emessi su richiesta di Entrate e Guardia di Finanza ammontano a circa 70, a cui si sommano i 60 pareri forniti all’Agenzia per le risposte a interpello ordinario. A tal proposito, l’Economia ricorda che, oltre all’interpello alle Entrate, le imprese possono «acquisire autonomamente il parere tecnico» del Mise rispetto «all’esistenza o meno dell’attività eleggibile».
Un quadro però in cui, secondo la replica della senatrice di Forza Italia Toffanin, permane un’eccessiva discrezionalità sull’attività ispettiva degli uffici dell’Agenzia.
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